La storia di un uomo passa dai luoghi dove ha vissuto. Sono loro a far crescere la sua identità. Mura, strade, caos, visi, opere d’arte… Ogni singola parte di questi elementi gli entra dentro e scava solchi profondi, da cui non saprà mai allontanarsi definitivamente.
Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura 2006, si muove in queste suggestioni. Di fronte a sé ha Istanbul, una città che sarebbe riduttivo definire solo in questi termini. Come Roma, Berlino o Londra (solo per citarne alcune), essa è l’insieme di più tradizioni.
La porta d’ingresso verso l’Oriente, come è stata definita da alcuni. Dopo di lei c’è un mondo nuovo, diverso dalle frenesie di quello occidentale e sembra che Pamuk, ne sia cosciente più di tutti quando, in queste pagine meravigliose, trasla la sua vita personale in quella della città. E viceversa.
Il testo è accompagnato da foto bellissime e personali, arricchite da descrizioni piene di partecipazione, dove emergono anche gli aspetti contraddittori dell’essere vissuti in un posto così speciale. Istanbul è Pamuk, i suoi stati d’animo, il suo osservarla per capire di più se stessi.
Non una semplice autobiografia e nemmeno una banale descrizione turistica. Secondo me non esiste un genere per definire questo libro, ma un azzardo lo faccio: si tratta di una biografia-itinerario nell’interiorità di un autore dalla personalità sfaccettata, scomposta come l’acqua di una pozzanghera al nostro passaggio.
Traduttrice: Semsa Gezgin – Editore: Einaudi – Collana: Super ET – Anno edizione: 2008 – Formato: Tascabile – In commercio dal: 20 maggio 2008 – Pagine: 384 pp., ill. , Brossura – Prezzo: 13 euro
Vot.: 9/10.
Un ascolto/un’opera d’arte: Dead Can Dance – Children of the sun (2012); Antemio di Tralle/Isidoro di Mileto – Basilica di Santa Sofia (537 d.C.).
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