Narrativa straniera, Recensioni
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Cucinare un orso (Mikael Niemi) – Nel mistero del male


“Mi sveglio in uno sconfinato silenzio. Il mondo attende di essere creato. L’oscurità e il cielo mi circondano. Resto disteso, gli occhi fissi sull’universo come due pozzi profondi, ma lassù non c’è niente, nemmeno l’aria. Nel silenzio il mio petto è scosso da un tremito, sempre più forte. Gli spasmi si fanno più intensi, qualcosa là dentro sta crescendo e minaccia di evadere. Mi divarica le costole, come sbarre di una gabbia. Non c’è niente che io possa fare. Solo cedere a questa forza spaventosa, come un bambino che striscia a terra in balìa di un padre infuriato, senza mai sapere dove affonderà il prossimo colpo. Quel bambino sono io. E sono anche il padre.”, p. 11.

Una forza sovrumana ci prende all’improvviso, scaraventandoci a terra.  Il vento furioso schiaffeggia le nostre guance fino a quando anche il dolore smette di pulsare, diventando una sola cosa con la voglia di rialzarsi e continuare a sfidare quell’energia terribile proveniente direttamente dalle cavità oscure di un mondo ricco di rituali antichi, dove le profezie coincidono con la realtà delle cose.

Se dovessi immaginarmi cinematograficamente la lettura di “Cucinare un orso”, essa avrebbe queste caratteristiche. Giallo, trattato filosofico, storia d’amore, breviario religioso intriso fino all’ultima pagina di un misticismo verace, ancorato alla superstizione e a un senso bambino della fede, quasi ingenuo nei modi in cui viene espresso ma drammaticamente autentico.

La storia

1852, profondo nord della Svezia. Il pastore Laestadius predica ai suoi fedeli con determinazione e forza, condendo le sue parole con il carisma di una religiosità viscerale, che parla direttamente con Dio e ne sente la sua presenza in ogni risvolto quotidiano della propria vita.

Filosofo, scienziato, mistico, naturalista. Un uomo che ha accolto nella sua casa le membra fragili e stanche di un ragazzo lappone, Jussi, sfuggito alle grinfie di un destino bastardo, che lo avrebbe certamente condotto alla morte anzitempo.

Ne fa il suo discepolo prediletto, istruendolo all’arte della conoscenza in tutte le sue forme, cercando di portarlo lungo quel confine invisibile posto a metà fra la razionalità e l’occulto. Un posto dove cercare di mantenere saldo il proprio spirito critico per non soccombere.

In questo sottile equilibro, si insedia la mano astuta del Male che porta quei luoghi primordiali a convivere con delle morti sospette attribuite da alcuni ad un orso. Bestia gigantesca e feroce, che in realtà assumerà ben presto le fattezze dell’Uomo.

Un libro guerriero

“[…] allora penso che in realtà ciò che ho tra le mani è proprio il tempo.
Un tempo che può iniziare, saltare subito alla fine, ricominciare da capo, andare a ritroso.
Nella vita reale il tempo procede sempre nella stessa direzione,
ma in un libro le cose possono andare diversamente.”,
p. 329.

Gli sforzi che il pastore e Jussi compiono per raggiungere la Verità si scontreranno con l’ignoranza e la banalità dei rapporti umani, facili ai pregiudizi, complici diretti e non della malvagità nuda e cruda. Sarà contro di essa che Laestadius combatterà fino alla fine, anche fisicamente, tenendo ben salda la fede cristiana fra le sue mani.

Questo piccolo capolavoro impastato di sangue e preghiera, ha l’odore dei territori che racconta. Luoghi in cui una Natura arcigna e imponente si pone come la protagonista principale relegando le persone agli angoli del suo crescere incessante.

Nella pietà che abbandona ogni tipo di commiserazione, essa si fa campo di battaglia fra le forze più inquietanti che albergano l’essere umano, gettandolo nelle sue stupide e miserevoli contraddizioni che lo fanno somigliare alla polvere che calpesta sotto i piedi. La stessa che Laestadius cerca di trasformare in rugiada e speranza.

Traduttrici: Alessandra Albertari, Alessandra Scali – Editore: Iperborea – Collana: Narrativa – Anno edizione: 2018 – In commercio dal: 7 novembre 2018 – Pagine: 507 pp., Brossura – Prezzo: 19,50 euro.

Vot.: 9/10.

Un ascolto/un’opera d’arte: Wardruna – Helvegen (2013); Michelangelo Buonarroti – Giudizio Universale (1536-1541).

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