“La folla in una certa misura soddisfa la propensione per il deserto.”, p. 28.
“La loquacità della notte non è meno lugubre del suo silenzio.
In essa si sente la collera dell’ignoto.”, p. 116.
Il ritmo del cuore aumenta sempre di più, eppure abbiamo gli occhi chiusi, siamo al sicuro coperti dal tepore notturno della nostra stanza. Ma qualcosa non va. Ci muoviamo nervosi nel letto, da una parte all’altra, senza sosta, come se stessimo correndo, fino a quando una sensazione simile ad un pugno ci fa alzare di soppiatto. E tutto finisce, e tutto ha di nuovo inizio.
“L’uomo che ride” ci porta nei labirinti di un incubo sferzato dalle luci accecanti della speranza e del sogno. È infatti dentro i meccanismi perversi della notte che si svolge la vicenda dei suoi abominevoli personaggi. Reietti, difettati, destinati a un’esistenza marginale nella società.
Il romanzo
Ursus, vagabondo e letterato che agli inizi del XVIII secolo si sposta inquieto per le zone desolate d’Inghilterra, si trova a dover interrompere la sua solitudine accogliendo due piccoli orfani (un bambino e una neonata), che educa alla sua vita peregrina.
Il ragazzo, Gwynplaine, ha un difetto fisico: il volto gli è deformato per sempre da un ghigno demoniaco e irridente che lo porta ad assumere un aspetto grottesco e pauroso. Condizione che colpisce anche la piccola (è cieca), raccolta dal bambino dalle mani prive di vita della madre, trovata sepolta sotto una coltre di neve mentre cercava rifugio dopo essere stato abbandonato sulla coste inglesi da uomini senza scrupoli.
I due, crescendo, subiranno le vessazioni sociali e politiche di una Gran Bretagna che ha vissuto la rivoluzione salvo poi ritornare a difendersi attraverso le braccia della monarchia. Due miserabili che inconsciamente si ameranno fino alla fine, arrivando a congiungersi in maniera tragica ma eterna.
Restare insieme
“Quando si è fatti solo di notte, come perdonare tanto splendore?”, p. 256.
Nei meandri più occulti dell’animo umano, circondati da un fumo denso e nero che impedisce ogni tipo di sforzo visivo, Hugo crea un libro geniale e duro. Poca commiserazione, la verità sbattuta in faccia, lo sforzo di rimanere umani e vivere senza paura i propri sentimenti.
Sono questi gli ingredienti che lo scrittore francese setaccia abilmente con la sua penna. In una visione oscura e gotica, l’umanità viene raccontata paradossalmente in maniera più lucida, come se i nostri difetti si vedessero meglio all’ombra della notte. L’unica in grado di perdonare le nostre colpe.
Traduttrice: Donata Feroldi – Editore: Mondadori – Collana: Oscar classici – Anno edizione: 1999 – Formato: Tascabile – Pagine: 760 pp.; – Prezzo: 11 euro.
Vot.: 9/10.
Un ascolto/un’opera d’arte: Led Zeppelin – Babe I’m Gonna Leave You (1969); William Blake – The Ancient of Days (1794).
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