“[…] scrivere libri: mettere qualcosa in salvo dalle grinfie del tempo e dell’oblio.”,
p. 9.
Gli incontri umani, quelli veri, sono sempre un do ut des, soprattutto se si parla di un dialogo serrato fatto di domande e risposte. Il processo maieutico diventa esercizio esperienziale, conoscenza intima dell’Altro che ci sta davanti anche se di lui/lei non si sa un bel niente. Le parole hanno questa forza: portare due perfetti sconosciuti ad empatizzare fra loro e a capirsi.
Con gli scrittori, con certi grandi narratori dell’universale umano, individui che hanno cambiato il corso della letteratura mondiale, questo percorso si fa più sottile, metafisico, tanto importante è la portata delle loro opere e la loro influenza sulle nostre vite. Amos Oz appartiene a tale categoria ma senza primeggiare, ponendosi nel suo insieme in maniera defilata e controcorrente.
Autoanalisi di uno scrittore
Con Shira Hadad, sua editor, ha cercato di cogliere gli episodi, le idee, gli aspetti meno conosciuti di se stesso, intessendo una conversazione limpida, a tratti anche dura, squisitamente leggera, grazie ad un senso dell’autoironia non comune, simbolo di intelligenza. Ormai alla fine della sua vita, Oz parla di sé con freschezza e serenità, ammettendo i propri errori senza rimorsi.
Dalla letteratura all’erotismo, dai sensi di colpa alla critica letteraria, dal maschilismo all’ascolto del femminile, dai confini veri a quelli immaginari dell’esistenza. Sono questi i temi che la Hadad traccia con le sue domande pregnanti, attente alla vita di chi le sta di fronte e alle persuasioni del mondo in cui si è svolta.
L’ascolto diventa, più della scrittura, lo strumento fondamentale per riconoscersi a vicenda. In tal modo, scopriamo un Oz stakanovista dello scrivere, impegnato a creare i suoi libri incessantemente anche a costo di distruggere quanto prodotto con fatica. Un Oz che ha imparato ad educarsi all’amore commettendo errori e maturando con altri; un Oz lettore e ammiratore di chi ha considerato avere un talento migliore del suo; un Oz addentro alla situazione sociale e politica del suo Paese con un punto di vista netto, molte volte isolato dal “pensiero” comune.
Che cosa resterà di uomo?
“[…] Il dono della letteratura. Dico loro: Il dono è doppio.
Il primo è che si prende un libro, un romanzo, un racconto,
lo si legge e a pagina 24 manca il fiato: sono proprio io,
come faceva a saperlo quella scrittrice? Non mi conosce.
Ma è solo che parla di me, no,
parla dei miei segreti, che non ho mai svelato a nessuno.
Questo è il primo tipo di dono.
Il secondo è l’opposto:
si va avanti a leggere fino a che, tutt’a un tratto, a pagina 84,
si resta a bocca aperta e si dice: wow, non sarebbe mai potuto capitare a me.
Una cosa del genere non la farei neanche per un milione di dollari. […]”., p. 146.
Le testimonianze, a maggior ragione se scritte, hanno la capacità di metamorfizzare il nostro vissuto, di renderlo parte di un discorso più alto. La vita di Oz è anche la nostra, seppur ognuno di noi abbia esperienze totalmente differenti. Ma nella differenza i tratti in comune si accentuano per farci capire come non siamo poi così lontani l’uno dall’altro.
La letteratura è il profumo indistinto di questo impasto di terra e sangue. Ci sta attorno e ci guida, anche se non lo sappiamo. Essa è la proiezione di ogni dubbio che ci portiamo nel cuore e del dolore che nasce dalla loro consapevolezza. Questo libro lo sa, Oz ne è cosciente, tutti dovremmo ambire a saperlo.
Traduttrice: Elena Loewenthal – Editore: Feltrinelli – Collana: Varia – Anno edizione: 2019 – In commercio dal: 3 ottobre 2019 – Pagine: 172 pp., Brossura – Prezzo: 15 euro.
Vot.: 8,5/10.
Un ascolto/un’opera d’arte: Luigi Tenco – Io sono uno (1966); Pablo Picasso – Autoritratto (1907).
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