Incontri con gli autori
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A nord del profondo sud – Il Festival “I Boreali” a Matera (17-18 ottobre 2019)

Da cinque anni ormai, la casa editrice indipendente Iperborea, attenta alla letteratura e alla cultura prodotte nei paesi nordeuropei, organizza a Milano e in tutta Italia, un festival dedicato specificatamente a questo mondo, portando all’attenzione del grande pubblico scrittori, intellettuali, viaggiatori, accademici etc. che si sono occupati di descrivere o studiare i Paesi scandinàvi (e non solo).

Tutto ciò è stato trasferito a Matera il 17-18 ottobre scorsi grazie alla collaborazione dell’associazione Amabili Confini (guidata da Francesco Mongiello), di Casa Cava (sede degli incontri) e di Presidio del Libro Matera. In questo modo, I Boreali – Nordic festival ha preso vita, coinvolgendo i più piccoli con laboratori e letture animate nelle principali librerie della città e presso la Biblioteca Provinciale “Tommaso Stigliani”.

The Boookmark.it ha deciso di seguire alcuni degli eventi in programma, scegliendo di darne testimonianza in due articoli che verranno pubblicati a poca distanza l’uno dall’altro, in modo da capitalizzare al meglio i contenuti espressi durante gli incontri e consentire a chi non c’è stato, di avere un’idea il più possibile onnicomprensiva della manifestazione.

BJÖRN LARSSON E LA FRAMMENTAZIONE NECESSARIA DELL’IDENTITÀ

Irriverente, colto, simpatico. C’è qualcosa di familiare in Björn Larsson che lo rende speciale. Qualcosa che lo fa essere vicino all’anima dell’interlocutore che lo sta ascoltando o che, più semplicemente, gli parla, incuriosito dalla sua figura affabile e libera, nell’accezione più profonda del termine.

Fra i più importanti ed originali scrittori del panorama letterario mondiale, autore di libri e saggi dal grande spessore umano e filosofico, Larsson si è concesso al pubblico materano con garbo ed empatia, parlando del suo ultimo libro, La lettera di Gertrud e colloquiando su di esso con la giornalista Antonella Ciervo.

Cos’è l’identità? Come si manifesta? È necessaria? Queste alcune delle domande emerse dalla discussione, partita dalla figura del protagonista del testo, Martin, genetista, il quale inizia un complesso percorso di appartenenza alla scoperta di se stesso e delle radici della sua famiglia. Itinerario periglioso, angosciante, fondamentale.

Per Björn Larsson l’identità non è ben definita per tutti; è semmai la diversità a renderci umani sebbene quest’ultima, oltre ad essere una ricchezza, si riveli soprattutto nella sua problematicità, poiché ognuno di noi si sente “a parte” dappertutto e mai compiutamente definito.

Martin, portando con sé un segreto (nel suo caso, cosa significa essere ebrei) è, a mio avviso, un uomo socratico. Si pone domande per cercare di capire cosa poter essere, azione che lo porta ad operare automaticamente una scelta rimanendo in equilibrio precario fra la vita quotidiana e la ricerca della propria essenza.

Nonostante sia un genetista, Martin sa che il suo lavoro non basterebbe a dar requie alla sua inquietudine, che è quella che appartiene a tutti noi, così ossessionati dall’identità da aver perso di vista la voglia di conoscere la gente senza pregiudizi, al di là del luogo da cui proviene. Sempre necessario per poter sviluppare un proprio punto di vista sul mondo.

L’incontro fra individui apparentemente divisi da storia, tradizioni e vissuti, non può non tenere a mente la libertà di scelta degli stessi in rapporto alle innumerevoli esperienze che si compiono nella vita. Soltanto avvertendo l’esigenza di un ritorno al confronto, possiamo rendere più umana l’esistenza di tutti i giorni ed arricchire noi stessi.

IL FASCINO SCOMPOSTO DI BERLINO

La serata è proseguita con il dibattito su Berlino, alimentato dalle impressioni di Marco Agosta e Vincenzo Latronico, uno degli autori del volume della collana di Iperborea “The Passenger” dedicato proprio a questa città. Persuasi dalle idee emerse dalla chiacchierata precedente sull’identità, i due giovani interlocutori hanno cercato di parlare della capitale tedesca senza sentimentalismi né nostalgie.

Berlino è uno di quelle città che ancora non sa bene che tipo di identità darsi, nonostante la caduta del muro sia avvenuta ben trent’anni fa. Un luogo la cui antica divisività, per Vincenzo Latronico, è ancora presente a livello interiore, soprattutto se guardiamo alle parti est ed ovest. Due aeree funzionalmente indipendenti al di là della riunificazione.

Per Agosta questa differenziazione è invece presente a livello architettonico. Il fascino della città sta nel suo essere “sporca”, nella sua capacità di trasmettere un’atmosfera febbrile in grado di produrre cultura in luoghi un tempo usati per cose totalmente diverse oppure abbandonati a se stessi dopo la loro fruizione.

Berlino è stata brava (e lo è tuttora) a creare meccanismi di produzione di valore culturale dal nulla sulla scia di altri illustri esempio europei, basti pensare al quartiere parigino di Montmartre. Zone, spazi in cui, oltre ad esserci stata una forte sovrapposizione fra più categorie sociali, si è creato qualcosa di più: un utile interiore basato sulla conoscenza e sulla coltivazione dei rapporti interpersonali. Lezione che dovrebbero far propria altre città del mondo.

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