“La vita è deposito, ossidazione,
grasso rappreso nel piatto e nero sotto le unghie,
alone giallastro sulla biancheria,
malinconico bollo di Eros, […]”, p. 239.
La mattina quando, appena svegli, incrociamo lo sguardo addormentato del nostro partner; la devozione quotidiana di una madre alla pulizia e all’ordine della propria casa, fatta di fatica e accorte attenzioni; il burbero umore di un insegnante che entra in classe e sa che quello è un giorno sbagliato per tutti i pensieri e i problemi accumulati nel corso di una vita intera, mentre il desiderio di trovarsi da un’altra parte gli sale feroce fino in gola.
I microcosmi sono le situazioni della nostra vita che non ci lasciano in pace nemmeno un istante; sono i luoghi in cui le sentiamo presenti: un giardino, un bar, la strada che percorriamo per andare a lavoro e che, qualche volta, possiamo guardare con un occhio diverso scorgendoci un mondo intero fatto di sguardi e respiri.
Le impalpabili grandezze del cuore
I Microcosmi raccontati da Claudio Magris sono esperienze, pensieri, osservazioni, ricordi minuziosi sedimentatisi nel corso della vita dello scrittore nel trascorrere del tempo a cui, grazie a una scrittura ignota alla semplificazione e votata al raggiungimento di una complessità linguistica semplice ma coltissima, si cerca di dare il giusto riconoscimento.
Il Caffè San Marco, dove i visi degli avventori si mescolano all’evocatività di un locale che diventa nazione, città, paesaggio interiore e riflesso di se stessi; il Giardino Pubblico di Trieste in cui i passi della gente sono il pretesto per descrivere la loro esistenza che sbatte contro il cuore rugoso della realtà.
Sono questi alcuni degli spazi che si trovano dentro il libro, un testo importante, fra pagine che trasudano la contemplazione di un silenzio urlante, quello necessario affinché la scrittura possa definirsi Parola trasmigrando la sua essenza dall’inchiostro alla carta, e l’urgente determinazione di un’ispirazione mai così consapevole del suo talento.
Il sentire necessario di uno stile
Nel deserto di un’incomunicabilità che ci fa persone spinte alla socialità ma destinate a rintarnarsi nel proprio scomodo universo personale, Magris scorge la presenza di una piega, un risvolto impercettibile che può far dialogare la Storia e i suoi contorti tentacoli con l’umiltà delle nostre apparentemente insignificanti microstorie.
Due sono i sensi messi in primo piano da questo libro: l’udito e la vista. Il primo usa il secondo per ascoltare consapevolmente la melodia umbratile che si nasconde nei nostri cuori; la vista afferma come, per vivere, non si possa prescindere dall’introiezione concreta di ciò che guardiamo. Un processo che sta alla base della nostra crescita.
Editore: Garzanti – Collana: Elefanti bestseller – Anno edizione: 2015 – Formato: Tascabile – In commercio dal: 24 settembre 2015 – Pagine: 273 pp., Brossura – Prezzo: 12 euro.
Vot.: 9/10.
Un ascolto/un’opera d’arte: Paolo Benvegnù – Il sentimento delle cose (2004) Jan Vermeer – Allegoria della pittura (1666).
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