Considerato dalla critica come il primo vero romanziere giapponese, Natsume Sōseki è nato nel periodo storico in cui il Giappone si trovava ad affrontare un’importante transizione da Paese ancora strettamente legato alle istituzioni e strutture feudali, ad un processo di “illuminazione e civiltà” dato da un adeguarsi alla modernizzazione in stile Occidentale. Questo passaggio è presente anche nella produzione letteraria di Sōseki caratterizzata da una parte dall’eredità della cultura popolare sviluppatasi durante l’epoca Edo, dall’altra da una profonda conoscenza dei classici cinesi e il suo percorso di studi in letteratura inglese.
La vita
Nato come Natsume Kinnosuke nel 1867 da una famiglia un tempo benestante, ma ormai in declino, la madre non si aspettava di restare nuovamente incinta e decise di dare Natsume in adozione fino al 1876.
Nel 1893 Natsume Sōseki si laurea presso l’Università di Tokyo in letteratura inglese. Lavora come lettore alle superiori, ma non si sentiva adeguato convinto che, non essendo madrelingua, non avrebbe potuto dare il massimo.
Ho studiato per tre anni e alla fine ancora non sapevo cosa fosse la letteratura. Questo, posso ben dire, era la fonte delle mie angustie. In un simile stato d’animo uscii dalla scuola per prendere il mio posto nel mondo e diventai – o meglio, fui costretto a diventare – insegnante.
Dal 1900 al 1903 Nastume Sōseki effettua un soggiorno a Londra, periodo tormentato dominato dalla solitudine, povertà e malinconia. L’equilibrio psichico dell’autore è seriamente minacciato da un grave esaurimento nervoso. Durante questo periodo Sōseki nota le differenze razziali tra lui e gli occidentali considerando quest’ultimi molto più belli degli asiatici. Deluso dal conoscere e vivere a pieno la cultura occidentale tanto decantata in Giappone, Sōseki sviluppa da questa esperienza negativa, una più profonda coscienza della propria identità come giapponese e la necessità di affermare una propria autonomia intellettuale.

Al rientro in Giappone, Sōseki inizia a lavorare come docente universitario fino al 1907 quando decide di accettare un lavoro presso il giornale dell’Asahi Shinbun come scrittore a contratto esclusivo, sottolineando, ancora una volta, il suo anticonformismo. Da qui inizia un’intensa attività letteraria fino al 1910, anno in cui Sōseki viene ricoverato per un’ulcera. Superata questa prima difficoltà di salute, continua la sua produzione letteraria fino al 9 dicembre 1916 quando il famoso scrittore muore per un’ulcera duodenale.
Il contributo e lo stile
Natsume Sōseki non appartiene a nessuna corrente letteraria del tempo, ma si è riuscito a distinguere come il primo vero romanziere del Giappone moderno-contemporaneo. Gli studiosi non sono nemmeno riusciti a definire il suo stile di scrittura in quanto cambiava spesso a seconda del periodo della sua vita e l’umore con cui si approcciava a scrivere. Ma sono tutti concordi che è stato l’autore che meglio ha rappresentato la crisi dell’uomo moderno.
Di sicuro Sōseki desiderava che la letteratura fosse accessibile a tutti, perciò ha sempre assunto una posizione intermediaria tra letteratura pura e letteratura popolare. Tema fondamentale dei suoi scritti è la ricerca profonda della psicologia umana, l’isolamento, le contraddizioni della società giapponese.
Si è servito della sua profonda conoscenza della letteratura inglese per dare una sua teoria generale della letteratura. Nel Bungakuron afferma che la letteratura possiede due elementi: la percezione e l’emozione. Percepire senza emozione è percepire in senso scientifico, percepire con emozione è letteratura, mentre l’emozione senza la percezione che deve accompagnarla è un fatto puramente “pre-letterario”.

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Natsume Sōseki – Le opere
Qui verranno brevemente presentate alcune tra le opere più famose di Natsume Sōseki
Wagahai wa neko de aru – Io sono un gatto
Il Novecento è appena iniziato in Giappone, e l’era Meiji sta per concludersi dopo aver realizzato il suo compito: restituire onore e grandezza al paese facendone una nazione moderna. Il potere feudale dei daimyo è un pallido ricordo del passato, così come i giorni della rivolta dei samurai a Satsuma, e l’esercito nipponico contende vittoriosamente alla Russia il dominio nel Continente asiatico.
Per Nero, il grosso gatto di un vetturino che spadroneggia nel quartiere in cui si svolge questo romanzo, i frutti dell’epoca moderna non sono per niente malvagi: ha un pelo lucido e un’aria spavalda impensabili fino a qualche tempo fa per un felino di così umile condizione.
Per il protagonista di queste pagine, invece, un gatto dal pelo giallo e grigio, che i suoi simili sbeffeggiano chiamandolo «Senza nome», le cose non stanno così: dinanzi ai suoi occhi si dispiega tutta l’oscura follia che aleggia in Giappone all’alba del XX secolo.
Il nostro eroe vive a casa di un professore che si atteggia a grande studioso e che, quando torna a casa, si chiude nello studio fino a sera e ne esce raramente. Di tanto in tanto il gatto, a passi felpati, va a sbirciarlo e puntualmente lo vede dormire: il colorito giallognolo, la pelle spenta, una bava che gli cola sul libro che tiene davanti a sé.
Certo, il luminare a volte non dorme, e allora si cimenta in bizzarre imprese.
Iniziato nel 1905, Wagahai wa neko de aru ha segnato l’ingresso definitivo dell’autore nel mondo della letteratura. Il narratore è un gatto e il mondo dove abita e che commenta è la casa dell’autore, talvolta messo sotto caricatura. Già dalla prima parola del titolo “wagahai” – termine pomposo del periodo Edo per dire io – si intuisce il tono satirico tipico delle opere tradizionali giapponesi del periodo Edo. Nastume Sōseki, infatti, denuncia in chiave ironica il difficile incontro tra la cultura giapponese e occidentale. Il romanzo fu un vero e proprio successo grazie al rifiuto di una trama convenzionale e per la sua originalità, ma anche per il protagonista fuori dal comune. In più il tono satirico e la narrativa vivace ha attratto un pubblico variegato
Bocchan – Il signorino
Il titolo si riferisce al nome affettuoso che si usa in Giappone per rivolgersi a un bambino maschio. Le domestiche, ad esempio, chiamano bocchan il bambino della famiglia presso cui prestano servizio. È un nome che potrebbe corrispondere al nostro “signorino”, se non fosse molto meno formale e deferente e, soprattutto, se non assumesse una sfumatura negativa quando, usato ironicamente, prende il significato di ragazzino immaturo, irresponsabile, ingenuo. Il personaggio, che è all’opera in queste pagine, è inguaribilmente bocchan, un “signorino” nella duplice accezione del termine giapponese. In età infantile, disprezzato dal padre e ignorato dalla madre che gli preferisce il fratello più grande, viene chiamato affettuosamente bocchan da Kiyo, la domestica di casa, una donna all’antica che considera il legame con lui alla stregua di quello che univa servitore e padrone in epoca feudale.
Diventato adulto, resta un “signorino” dall’aria svagata, dalla mancanza di rispetto per l’etichetta, dalla disarmante sincerità. Insegna matematica ad allievi chiassosi e zucconi e in mezzo a insegnanti che non sono altro che un branco di caproni arroganti, disonesti e ipocriti. Dovrebbe rassegnarsi e capire che l’ipocrisia sta diventando norma nel Giappone moderno, ma non cessa un solo istante di difendere con impulsività e commovente ingenuità l’antico senso dell’onore.
Considerato uno dei capolavori della letteratura giapponese, Bocchan (1906) è la storia di un goffo maestro di inglese che lascia Tokyo per insegnare in una scuola sull’isola di Shikoku. Il successo del romanzo è dato dalla natura del protagonista: Bocchan è un uomo buono, schietto, intuitivo, non ammette le ingiustizie, diventando così un vero e proprio modello per i giovani giapponesi dell’epoca. Nonostante possa sembrare un’opera autobiografica, Sōseki non si è voluto identificare con nessuno dei personaggi.
Bocchan rappresenta il tentativo di Natsume Sōseki di scrivere un romanzo fuori dalle correnti letterarie predominanti dell’epoca, come il Naturalismo.
Kusamakura – Guanciale d’erba
Straordinariamente simile nella struttura narrativa a un’altra grande opera del secolo appena trascorso (La passeggiata di Robert Walser, apparsa appena undici anni più tardi), Guanciale d’erba narra di un giovane artista, pittore e poeta, che si avventura per un ameno sentiero di montagna di un piccolo villaggio giapponese.
Lungo il cammino, in un’atmosfera incantata, incontra viandanti solitari, contadini, paesani, nobili a cavallo e ogni specie d’umanità, finché, sorpreso dalla pioggia, si rifugia in una piccola casa da tè tra i monti. Qui, dalla dolce voce della vecchia tenutaria, apprende la storia della fanciulla di Nakoi, che ebbe la sfortuna di essere desiderata da due uomini e andare in sposa a quello che lei non amava. Il giorno in cui partì, il suo cavallo si arrestò sotto il ciliegio davanti alla casa da tè, e dei fiori caddero qua e là, come macchie sul suo candido vestito…
Come un viandante qualsiasi, col suo guanciale d’erba – insieme, il cuscino di chi va per il mondo e una grande metafora del viaggio di ogni uomo alla ricerca di se stesso – l’artista raccoglie questa e altre meravigliose storie lungo il suo peregrinare, semplicemente per ubbidire al suo modesto e sublime compito: «rasserenare il mondo e arricchire il cuore degli uomini».
Scritto in sole due settimane, Guanciale d’erba (1906) è considerato il lavoro più poetico di Sōseki: descrive le settimane trascorse da un giovane artista presso un centro termale dove è l’unico ospite presente. Qui l’autore cerca di presentare la sua visione di arte intesa come l’unico elemento di conforto per l’uomo. Lo stile e il tema richiama gli haiku e le immagini poetiche dei vecchi paesaggi giapponesi tradizionali distrutti dall’arrivo dell’Occidente. Infatti, in quest’opera, i riferimenti all’Occidente hanno un significato negativo in quanto l’adulazione dell’Occidente ha portato a un rifiuto inconscio del proprio patrimonio giapponese.
Sanshirō
Opera della piena maturità artistica, Sanshirō, del 1908, è ancor oggi uno dei romanzi più letti in Giappone. In esso rivive l’atmosfera degli ambienti universitari e della Tōkyō di inizio secolo, dove Oriente e Occidente si fronteggiano, colta attraverso le esperienze di uno studente appena arrivato dalla provincia. Nel contrasto fra la giovinezza del protagonista, il suo entusiasmo per un futuro incerto ma eccitante e pieno di promesse, e la solitudine, malinconica e priva di illusioni, del più anziano professor Hirota, si enuclea uno dei temi fondamentali delle opere di Sōseki: l’isolamento dell’uomo moderno e la sua incapacità di trovare un significato alla propria esistenza.
Romanzo pubblicato a puntate dal settembre al dicembre 1908, Sanshirō, con il suo entusiasmo e la sua freschezza non intaccata da dubbi e delusioni, è considerato il personaggio simbolo dell’era Meiji e delle sue contraddizioni. E’ considerato il romanzo con cui si apre “la prima trilogia” della quale fanno parte anche Sore kara e Mon. Narra la storia di un giovane uomo che da Kumamoto va a Tokyo per frequentare l’università. Il romanzo si apre con una famosa immagine di Sanshirō sul treno che dalla campagna lo porterà in città e sul quale il giovane incontrerà alcuni personaggi del nuovo tempo tra cui il professor Hirota. Se Sanshirō rappresenta molti giovani giapponesi in cerca di istruzione, saggezza e carriera e che vedono in Tokyo il mondo moderno pieno di promesse, Hirota si mostra dubbioso sul cambiamento.
Il giovane Sanshiro, dopo essersi diplomato in un liceo di provincia, si iscrive all’Università di Tokyo e viene a contatto con una nuova atmosfera. Conosce compagni di corso, colleghi anziani, giovani donne e il suo comportamento ne è influenzato. Il mio compito si limita solo a lasciare liberi i personaggi all’interno di quell’atmosfera. Essi si muoveranno spontaneamente e, come fatto altrettanto naturale, nasceranno drammi e conflitti. Allo stesso tempo, io credo che lettori e autore, trascinati da quell’atmosfera, impareranno a conoscere meglio i protagonisti. Se l’atmosfera non si rivelerà affatto trascinante e se i personaggi non avranno alcun fascino, non resterà altro da fare che rammaricarci per il nostro destino sfortunato. E’ una storia comune. Io non so scrivere di fatti straordinari.
– Natsume Sōseki
Mon – La porta
Sosuke e Oyone sono due sposi che conducono una sobria e, in apparenza, tranquilla esistenza. In realtà, il rimorso pesa sul loro cuore. La loro unione ha, infatti, determinato tempo addietro la rovina di Yasui, il compagno di studi di Sosuke, l’elegante, spensierato amico d’università dai vestiti eleganti e dai capelli lunghi, che, dopo la ferita subita dal vortice irresistibile della passione che travolse la mente e i cuori di Oyone e Sosuke, lasciò Tokyo e raggiunse la Manciuria, compromettendo irrimediabilmente il suo avvenire. A costituire per la coppia un’ulteriore fonte di angustie sono le ristrettezze finanziarie – alla morte del padre, Sosuke scopre che del cospicuo patrimonio di famiglia non resta più nulla -, la freddezza dei parenti e, soprattutto, la mancanza di figli, nella quale Oyone scorge un castigo del Cielo.
Rassegnati a un destino mediocre, ben lontano dalla brillante carriera cui Sosuke poteva aspirare sia per nascita che per doti personali, marito e moglie trovano conforto nel reciproco amore, balsamo inestinguibile col quale placano il rimorso che si annida costantemente in un angolo della loro coscienza. Pochi sarebbero gli eventi in grado di scuotere la loro quieta malinconia, se un giorno Sosuke non rischiasse di incontrare Yasui presso il padrone di casa, il ricco, gioviale e generoso Sakai. La notizia che l’amico si accinge a ritornare a Tokyo dalla Mongolia sconvolge Sosuke e rinfocola tutte le ansie…
Il protagonista – Sosuke – sposa la donna che ha portato via ad un amico – Yasui-, ma la coscienza non gli dà pace e non riesce a stabilire un rapporto felice con la donna. Buona parte delle descrizioni presenti nel romanzo ricordano lo stile utilizzato nel Naturalismo senza però risultare noioso. Il romanzo sottolinea il problema della solitudine dell’individuo e della sua impossibilità di trovare un significato alla propria esistenza.
Kokoro – Anima e Cuore
Il romanzo narra del rapporto tra un giovane studente e un maestro, conosciuto fortuitamente a Kamakura, il quale vive in una condizione di totale isolamento dal mondo nella sua residenza a Tokyo. Nonostante l’iniziale distacco del maestro, lo studente piano piano riesce ad avvicinarsi a questa figura enigmatica, che non ama parlare molto di sé e che nelle frequenti discussioni con il ragazzo lascia intendere di aver trascorso un passato drammatico, senza però approfondirne i particolari. Il maestro vive a Tokyo in condizioni modeste, in compagnia della moglie e di una domestica. Durante le sue visite, il ragazzo ha modo di conoscere anche la moglie del maestro, molto devota al marito, la quale però non crede di suscitare in lui un analogo sentimento, per il pessimismo del maestro nei confronti del genere umano.
Ultimo libro della “seconda trilogia” di Nastume Sōseki composta da Higan sugi mae (Dopo l’equinozio), Kojin (Viandanti) e Kokoro (Anima). Il comune denominatore tra queste tre opere è la struttura: ciascuno è composto da episodi relativamente autonomi che trovano unità nella conclusione dell’opera. In tal modo l’autore evita di affidare il discorso a un unico narratore, modificando il punto di vista. Tema centrale è ancora una volta la solitudine dell’uomo data dalla disgregazione di tutti i punti di riferimento a causa del mondo moderno.
Kokoro (1914) è composto da tre parti: le prime due narrate in prima persona da un giovane studente che racconta la storia del suo incontro e della sua amicizia con il Sensei (il maestro). La terza, invece, è narrata dal punto di vista del Maestro ed è una lunga lettera d’addio in cui spiega attraverso una lunga confessione il motivo del suo gesto.
Un archivio per approfondire l’opera di Natsume Sōseki
Bibliografia:
Luisa Bienati, Letteratura giapponese vol. 2; dall’Ottocento all’inizio del Terzo Millennio (Einaudi, 2005);
Donald Keene, Dawn to the West: Japanese Literature of the Modern Era; Fiction (Holt Rinehart & Winston, April 1, 1984) ;
Kato Shuichi, Storia della letteratura giapponese volume 3; dall’Ottocento ai giorni nostri (Marsilio, 1996);
Maria Teresa Orsi, Sanshirō (a cura di), (Marsilio, 1990);
Appunti personali presi durante il corso di “Letteratura giapponese moderno-contemporanea” tenuto dalla Professoressa M. Vienna durante il percorso di laurea triennale in Lingua e Letteratura Giapponese presso la facoltà di Studi Orientali, La Sapienza Roma (anno del corso 2008-09)
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[…] Il primo grande romanziere giapponese – The Book Mark (un ottimo articolo che vi permetterà di conoscere meglio il contesto socioculturale del romanzo) […]