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Vicini all’infinito: quel che ancora ci dicono i “Canti” di Leopardi

Premessa

Questa non è una recensione. D’altronde è impossibile ridurre in poche righe una personalità come quella di Leopardi. Non sarebbe corretto nei confronti dell’immenso patrimonio poetico e filosofico che ci ha donato. Per cui ciò che sto scrivendo è essenzialmente un mio piccolo e personale parere sulle emozioni e sulle idee che mi ha donato la rilettura dei suoi “Canti”.

Si tratta di un libro che avevo letto per la prima volta molti anni fa, quando ancora frequentavo l’università. Perché? Non so spiegarlo. Di sicuro, all’epoca, cercai di colmare un vuoto, una mancanza che gli anni di scuola avevano contribuito ad aumentare, con lezioni che purtroppo trattavano i “Canti” con molta velocità.

Passava presto Leopardi. Troppo. Le poesie e i dialoghi più importanti letti velocemente, lo studio della sua biografia compiuto soffermandosi sugli aspetti più conosciuti. Ma non bastava e non basta per entrare dentro le complicate regole del mondo interiore di uno dei più grandi poeti della letteratura universale.

Da tali premesse nasce la motivazione che ha portato alla stesura di questo breve scritto. Al suo interno ho deciso di raccontarvi alcuni componimenti della raccolta che più mi hanno colpito sperando che possano arricchire il vostro immaginario.

I miei “Canti”

Ultimo canto di Saffo

Un dialogo con il mito e la poesia. La figura di Saffo, poetessa, donna, amante. In questa poesia Leopardi ne dà un ritratto tenero e inquietante, con finestre paesaggistiche struggenti, basti pensare all’incipit: “Placida notte, e verecondo raggio/Della cadente luna; e tu che spunti/Fra la tacita selva e in su la rupe/ […]”, immerso in un universo che colloquia con la grande tradizione classica, Virgilio su tutti. Un iniziale serenità che sfocia nella tensione dei versi successivi con cui Saffo annuncia il proprio suicidio. Questo componimento filosofico trasuda fragilità ed estasi insegnandoci come la tensione emotiva possa, da un momento all’altro, sgorgare in un doloroso ed intimo delirio esistenziale.

– Consalvo

“Non l’amerà quant’io l’amai. Non nasce/Un altrettale amor”, vv. 132-133.

Una scoperta. Il dialogo fra la ricerca dell’estraneità e la voglia di immergersi nella bellezza. Lo slancio verso un amore drammatico, raccontato sul letto di morte da un uomo che cerca l’attenzione di una donna sfuggente. Ma, a parte questo aspetto, ciò che più mi ha colpito di Consalvo è il linguaggio e la sua limpidezza. Attraverso un ritmo poetico serrato, la vicenda dei due amanti si fa pian piano universale, colpendo direttamente l’anima del lettore che si trova sospeso tra la consuetudine drammatica dei rapporti amorosi e la loro trasfigurazione in qualcosa di infinito, difficilmente spiegabile ma presente, vivo alla lettura. Un senso assoluto della bellezza? Invito chi leggerà questa poesia a farsi una propria idea. Solo così può essere capita pienamente.

– Canto notturno di un pastore errante dell’Asia

Il dialogo di un uomo umile con l’universo, le domande essenziali dell’esistenza poste con eleganza e senso della finitezza del mondo. Siamo un po’ tutti come il pastore di questi versi stupendi. Persi nel disperato vuoto di una natura che afferma con nettezza il suo potere su tutto ciò che la circonda. Ha senso vivere? Per questo pastore-filosofo, la vita è un viaggio periglioso sin dalla nascita, mentre dall’alto la luna rimane quasi impassibile, sublime, altera nel suo mostrarsi in tutta la sua immensa bellezza. Sono versi che descrivono l’incomprensione dell’uomo nei confronti del Creato, con l’amara consapevolezza di doverne fare parte.

– A se stesso

Un cuore stanco, un animo appesantito dal vivere e dall’amare. A se stesso è la brevissima testimonianza di un poeta straziato dal suo profondissimo dolore nei confronti di un’amata irriconoscente che solo apparentemente, a mio parere, assume le sembianze umane di Fanny Targioni Tozzetti, la donna a cui è dedicato il cosiddetto “ciclo di Aspasia”, ma che rappresenta tutta l’esistenza che viviamo quotidianamente. Quando leggo questi versi, il mio tempo interiore si ferma, affacciandosi sull’abisso sensuale e inquietante dell’uomo posto di fronte alla sua solitudine. Esperienza che può salvarci di fronte alle nostre abiezioni, se vissuta con serenità.

La verità è il dubbio

“[…] e il core/ Movi ad alto desio […]”, vv. 6-7.
Ad un vincitore nel pallone.

I “Canti” dissezionano il pensiero. Lo fanno a piccoli brandelli interiori e linguistici ponendolo davanti alle grandi domande della vita. Giacomo Leopardi sversa il suo bisogno di verità in una poesia dall’ispirazione cristallina, che si bagna nelle contorsioni del mondo con la forza silenziosa della conoscenza. Leggerli o rileggerli dà valore alle profondità nascoste del nostro sentire, oggi come ieri.

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2 Comments

  1. Sere says

    Ho sempre amato Leopardi, ha una visione della vita molto attuale. I suoi “Canti” sono veramente delicati

    • Gaetano Panetta says

      L’interiorità di Leopardi è immensa. Come pensatore, soprattutto. E tutto ciò si riflette certamente nella sua poesia.

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