Pensieri, paure, speranze in quel che per me sono pagine di un “diario di una quarantena”
Tre settimane dall’inizio del lockdown in Italia. E’ sera, le 23 circa. Scendo per portare Ginger a fare i bisogni. Ed ecco che passa, con le luci blu che si confondono nell’oscurità della notte. Non ha la sirena, ma è l’unico suono che si sente nel silenzio della quarantena. E poi eccole, due figure bianche, quasi uscite da un romanzo distopico o un film di fantascienza. Sono “quelli vestiti da coronavirus”, come li chiamo io. Sfreccia, l’ambulanza, chissà verso quale casa, verso quale vita in pericolo. Sento freddo, dentro e fuori di me. Questo è di sicuro l’episodio del mio diario di una quarantena con cui ho sentito davvero la piena emergenza coronavirus.
Due mesi in quarantena, in cui ho vissuto tutte le emozioni possibili: dalla gioia alla paura, alla tranquillità all’ansia. E ora che siamo alla soglia della fase due mi chiedo spesso: cosa è stato veramente tutto questo? Nei giorni del lockdown ho dato voce a molti dei miei pensieri su un diario, il diario di una quarantena per l’appunto. E’ il modo per cercare di vedere in maniera lucida il turbinio che spesso mi prende e porta lontano dalla realtà e lucidità. Il mondo si è fermato nel momento in cui a me stava crollando tutto addosso. Tutto. E rifugiarmi in una bolla quasi protetta dove non dovevo preoccuparmi di trovare lavoro, di capire chi fossi, di non dover per forza scegliere una strada.. ecco, è stato quasi un sollievo.
Nel mio diario di una quarantena ho scritto spesso che mi sentivo stranamente in pace. Potevo dedicarmi a me stessa, cercare un po’ di silenzio in quella testa che da mesi stava facendo fuochi d’artificio. Però, non volevo cercare me stessa, non è mai stato il mio scopo. Fare ordine dentro di me sì, ma trovare se stessi in mezzo alla tempesta non è semplice, e forse nemmeno ideale. Così ho dedicato la prima parte di questa lunga quarantena a coltivare il silenzio: yoga, qi gong con mamma grazie alle sue lezioni su skype, leggere in terrazza, scrivere per il blog.. Insomma, il kit base di sopravvivenza per una buona quarantena! In più potevo portare Ginger sotto casa, 15 minuti per un giro, ma meglio di niente. Per me che sono sempre stata casalinga, restare in casa non è stato un trauma.
Ascoltare il silenzio del mondo, come l’ho definito io
Ed è qui che è subentrata la paura e sono iniziate le domande. E’ normale non soffrire così tanto questo isolamento sociale? Va bene essere “misantropa”, come spesso mi sono definita, ma questa solitudine, questa voglia di solitudine.. è normale? Che io sia fondamentalmente una persona sola e non me ne sia mai resa conto? Sono stati giorni difficili, in cui in televisione i morti aumentavano, i discorsi di Conte facevano paura, l’economia affondava, l’Europa ci voltava le spalle.. ed io mi sentivo di nuovo persa. Sola, senza futuro, in un Paese che sta affondando. Panico. Ansia. E’ bastato un passo indietro, un gesto di umiltà: dire di essere in difficoltà. Sono venuti in soccorso gli affetti: mamma, con la meditazione e il suo ottimismo (mamma è sempre una fonte di idee e di entusiasmo), papà con le sue telefonate, e i miei amici con le loro storie e il confortarsi reciprocamente. No, non sono sola. E non lo sono mai stata. Sono io che a volte ho bisogno di stare da sola a guardarmi dentro, a litigare con me stessa.
Tornata la tranquillità, ho cercato di dare voce alla consapevolezza sulla situazione. Ho dedicato pagine e pagine del mio diario di una quarantena a fare liste su liste delle cose positive che potevano nascere da questa pandemia: più attenzione all’ambiente, alle cose semplici, al recuperare tempo per noi e i nostri interessi, fare davvero ciò che si è sempre desiderato nella vita, ricominciare da zero. Dall’altro, forse, mai come in questi due mesi abbiamo dovuto fare i conti con la nostra fragilità, il nostro essere totalmente umani con debolezze, paure e difficoltà. E ci siamo sentiti Italiani, non grazie ad una partita di finale per un mondiale di calcio, ma per tutte le lacrime nel vedere sventolare il nostro tricolore, per le decisioni difficili prese dal governo, per i nostri morti (perché sono perdite di tutto il Paese, non solo di alcune città). Ho pianto per l’Italia, per la mia Italia, per me, per noi.
Sono spaventata da ciò che sarà il mondo dopo. Sentiamo in televisione dire che non si potrà tornare alla vita di prima, per molto tempo. Purtroppo ne sono consapevole. Ma sono convinta che, con fatica e con la pazienza, riusciremo a sollevarci. Io che ho sempre pensato a me stessa fuori dall’Italia, mai come adesso voglio restare qui, per portare di nuovo al massimo splendore il mio Paese.
Sono stati due mesi duri, in cui ognuno di noi ha sofferto e ha avuto paura. Il mio diario di una quarantena voleva essere un piccolo capitolo su un periodo che ci porteremo sempre nel cuore. Un pensiero e un abbraccio a chi ha perso un proprio caro e non ha potuto salutarlo, a chi ha lavorato senza sosta per salvare vite, per far sì che potessimo mangiare, per darci la possibilità di stare tranquilli in quarantena. Ci sono tante famiglie in difficoltà, tanti giovani che hanno perso il lavoro, i sogni di molti andati in fumo. Dobbiamo farcela, dobbiamo essere uniti e forti. Che sia per tutti noi una rinascita..
Grazie, per aver letto questi pensieri di un diario di una quarantena..
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