Intervista a Christian Raimo autore del saggio “Contro l’identità italiana” pubblicato da Einaudi
Rassegna Amabili Confini: Parole tra le righe, conversazione sul saggio di Christian Raimo “Contro l’identità italiana”, in streaming l’ 11 maggio 2020 | Modera l’incontro: Maria Rosaria Salvatore; dialoga con l’autore Claudia Zancan
Quando mi hanno chiesto di dialogare con Christian Raimo sul suo saggio “Contro l’identità italiana” inizialmente mi sono spaventata: aiuto, un saggio di politica! Poi ho ritrovato molto dei miei studi sul concetto di identità che avevo affrontato per la tesi di laurea e quindi una chiave di lettura più vicina a me. Parlare di identità non è mai semplice, diventa ancora più complesso quando viene utilizzata come slogan politico. A seguire trovate la trascrizione dell’incontro con Christian Raimo per la rassegna 2020 di Amabili Confini.
C.Z.: Nel tuo saggio fai un discorso in cui sembrerebbe che identificarsi con un’identità porterebbe quasi in automatico ad un discorso negativo. E’ così o ci possono essere anche degli esempi positivi?
Christian Raimo: Questo saggio racconta soprattutto ciò che è successo dagli anni ’80 fino ad oggi. Ha un titolo che doveva essere meno polemico di quello che è -Contro l’identità italiana – perché ero partito con l’idea “Cosa salviamo dell’identità italiana?” “Ci può essere un’identità italiana positiva da contrapporre a nazionalismi razzistici?” “Ci può essere un’identità mobile, plastica?”. In realtà nel momento in cui ho fatto questa ricerca mi sono reso conto che di questa identità italiana non riuscivo a salvare nulla. L’identità italiana di oggi contiene in sé degli elementi che sono razzisti, fascisti. Sono elementi di cui non ci accorgiamo quanto siano elementi che non servono a creare un’appartenenza. In questi giorni si è visto quanto servono poco i nazionalismi (…). Se ci fosse stato un progetto a livello mondiale di contrasto al contagio in maniera coordinata tra Paesi, un maggior valore l’OMS, si poteva essere più preparati all’arrivo della pandemia.
C.Z.: Christian, il tuo libro è uscito l’anno scorso: dovendo rivedere tutto in chiave 2020 cosa è cambiato all’interno dell’italiano sul suo sentirsi italiano e all’interno della politica italiana?
Christian Raimo: E’ cambiato poco di fatto. Questa pandemia ha modificato tantissimo la nostra vita quotidiana di un periodo che sta diventando di tre mesi, ma ha cambiato poco la mentalità con cui ci approcciamo alle dimensioni diverse come ad esempio la dimensione politica. Sembra che l’Italia, l’orgoglio di essere italiani, sia un valore politico quando chiaramente non lo è. Si possono avere idee diverse in politica, ma essere italiani non vuol dire niente. Anzi, forse potremmo pensare di immaginarci dei diritti di cittadinanza che ci fanno ragionare diversamente da quella che può essere una politica del futuro. Questo riguarda l’economia europea in cui, appunto, uno dice che l’Italia sbatte i pugni con l’Europa. In realtà non vuol dire nulla sbattere i pugni mentre bisogna pensare ad una politica europea che abbia degli organismi internazionali e sovranazionali che abbiano più potere del veto di uno o più Paesi. “I lavoratori italiani devono essere difesi” ma di fatto quello che io vedo come assessore o come persona che si occupa di politica in tanti livelli anche con la scuola, è che a non mangiare sono sia italiani che non. L’idea che possiamo chiamare italiani quella comunità che vive qui in Italia in questo momento mi sembra più semplice. Mai come in questi giorni siamo equiparati. Il nazionalismo ci ammazza.
C.Z.: L’identità è un concetto complesso da definire, in quanto lo abbiamo inventato noi alla fine. Se non dovessero esistere i confini, si potrebbe ancora parlare di identità?
Christian Raimo: L’identità serve, spesso è una categoria ponte. Immaginiamoci le battaglie che sono state fatte dagli omosessuali già dagli anni ’60 riconoscendosi in un’identità di genere e politica molto forte. O gli italiani quando hanno fatto il risorgimento. Chiaramente, però, serve per un lasso di tempo come ad esempio nelle coppie: ci identifichiamo come coppia, ma se ci identifichiamo in tutto e per tutto nella coppia è un disastro. Perché siamo siamo due persone diverse con vite, lavori.. Che cos’è l’Italia? Come identifichiamo l’italianità? Sono le persone a cui piacciono gli spaghetti? O che sanno cantare l’inno? E’ chiaramente qualcosa che ci sfugge completamente e spesso in quell’italianità noi andiamo a collocare gli aspetti peggiori come le pigrizie, l’incapacità di vedere la ricchezza dell’altro, il conservatorismo rispetto a certe tradizioni. Spesso anche delle cose che sono parte della nostra tradizione culturale come il fascismo, il razzismo nei confronti delle popolazioni africane dove l’Italia ha fatto dei bei disastri dal punto di vista coloniale, il maschilismo. Ha molto più senso parlare di Stato, di un senso di appartenenza a delle comunità internazionali, cosmopolite, costruire l’Europa.
C.Z.: Hai citato il colonialismo italiano, argomento che mi interessa molto. Vorrei leggere un brano tratto dal tuo saggio proprio su questo:
La storia dei popoli nel presente e nel futuro è sempre più una storia di movimenti e di diaspore. legare le identità culturali e nazionali ai territori non è solo una prospettiva politica regressiva, ma è un errore ermeneutico sempre più grossolano.
Può esistere questa identità alternativa? La colossale assenza della discussione sull’identità italiana, quella degli studi postcoloniali, non si può addebitare solo alla ragione dell’esigua migrazione in Italia di eritrei, etiopi, libici alla fine della occupazione italiana; diversamente da quello che è accaduto, per esempio, per la Francia con le colonie africane o per l’Inghilterra con i Paesi del Commonwealth; o anche alla mancanza di un grande movimento indipendentista come è avvenuto per la guerra franco-algerina (1954-62) o per la rivolta dei Mau Mau in Kenya (1952-60). Più che un’assenza, è manifestamente una rimozione.
C.Z.: Perché in Italia non si parla del periodo coloniale? Di recente ho letto “Il ritorno” di Hisham Matar dove appunto parla del capitolo estremamente doloroso per il popolo libico del colonialismo italiano in quelle terre. Secondo te c’è consapevolezza di ciò che l’Italia ha fatto in quei territori? O c’è una voglia di dimenticare?
Christian Raimo: Quando devo parlare ai miei studenti di ciò che accade ai nostri confini, quindi molto vicini a noi, chiaramente parlo di ciò che è successo e sta succedendo in Libia, e chiedo cosa sanno della Libia. Noi immaginiamo la Libia come un territorio ignoto mentre la Libia è a poche centinaia di chilometri dalla Sicilia dove magari andiamo in vacanza. La Libia fa parte della nostra civiltà da millenni, gli influssi continui, le relazioni continue. La Libia è un continente a sé di fatto. E’ sette volte l’Italia, è un luogo che di fatto fatichiamo a chiamare “paese” perché di fatto la costruzione della sua società è sempre stata molto travagliata. Con Gheddafi si era riusciti a creare un’unità nazionale, ma con al sua morte si è sfaldata subito e non si sa se la Libia rimarrà insieme, potrebbe anche dividersi in zone di interesse governate di fatto da milizie.
Noi abbiamo della Libia un’idea di terroristi, poveri, o persone che vengono qui, quando ad esempio Hisham Matar racconta, come fa la letteratura, una storia molto diversa. L’Italia sembra un paesino, un paesino di provincia. Bisogna approfondire, in maniera laica, umile e curiosa, la storia, la geografia. La Libia è molto distante da quella definizione di “scatolone di sabbia” del 1911. In questo momento sta avvenendo una guerra civile terribile su cui noi dovremmo in qualche modo avere un’attenzione molto forte perché non soltanto i rischi di questa guerra civile sono immediati per via delle distanze geografiche e gli interessi economici. Non possiamo pensare che ci sia una guerra civile feroce a poca distanza dai nostri confini e noi restiamo indifferenti. Ne va della nostra etica.
C.Z.: Christian, da docente, ritieni che la scuola al giorno d’oggi possa essere ancora un luogo utile per sviluppare una coesione nazionale come è avvenuto dopo l’unità
Christian Raimo: Quelli che dicono di sì sono quelli per cui la scuola è rimasta l’ultima grande infrastruttura della conoscenza cognitiva in Italia. Ancora più l’Università dove abbiamo perso tantissimi iscritti. La scuola è veramente il luogo dove si prova a dare delle opportunità a chi non ce le ha, a compensare disuguaglianze. Però noi vediamo dai dati che abbiamo a disposizione che le differenze tra nord e sud, tra centri e periferie delle aree urbane, sono forti, sono delle vere asimmetrie delle opposizioni. La scuola non riesce a unire, non riesce a creare una società più coesa. Anzi, in molti casi alimenta, produce queste distorsioni. Sempre di più vediamo dei fenomeni di immigrazione interna sempre più marcati. Un’intera generazione, fascia di età che in parte, specialmente nei paesi del sud, che non esiste.
Contro l’identità italiana: la mia opinione

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Il saggio di Christian Raimo non è stata una lettura semplice: a tratti un po’ ostico come linguaggio e sono state inserite molte citazioni che spesso hanno fatto perdere il filo del discorso. Ma ha dato degli ottimi spunti di riflessione. Mi sono fermata anche io un attimo a chiedermi “Che cos’è effettivamente l’identità italiana?”. Non mi sento né totalmente contraria né di appoggiare in pieno le osservazioni di Christian Raimo. Ritengo che effettivamente essendo i confini un qualcosa deciso dall’uomo ne siamo stati totalmente condizionati. Nel bene o male siamo cresciuti tutti con un’educazione basata sulla cultura italiana e la religione cattolica perché ci troviamo dentro i confini italiani. Se i confini non esistessero, si potrebbe ancora parlare di identità? E’ quindi un qualcosa di molto più intrinseco dentro di noi?
Dall’altra parte personalmente mi sento italiana e non mi sento per niente fascista o leghista! Amo la storia, la natura, la cultura, l’arte, riconosco i pregi e i difetti del popolo italiano. Sono italiana e ho capito di esserlo nei tanti viaggi e soggiorni in famiglia che ho fatto in giro per il mondo. Mi sento però anche molto vicina alla cultura asiatica per il modo di vivere la spiritualità e il rapporto con la natura. Mi sento anche Europea. Penso che l’identità sia una scelta che noi facciamo nel momento in cui ci sentiamo di appartenere a un determinato luogo/popolo/cultura, ma non deve essere per forza una scelta razzista. Ci si può sentire parte di un qualcosa di più grande, prendere il meglio da ogni cultura, accettare il peggio per potersi confrontare. Insomma, sentirci tutti umani!
Consiglio il saggio “Contro l’identità italiana” di Christian Raimo a tutti coloro che hanno voglia di darsi risposte sulla loro identità come italiani, rispolverando alcuni capitoli della storia politica italiana e della nostra storia in generale.
Un grazie a Christian Raimo per la sua disponibilità e un grazie ad Amabili Confini – specialmente a Francesco Mongiello – per avermi coinvolta in questa bellissima rassegna!
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