Impressioni di un inizio
“Tutti gli uomini assomigliano al loro stesso dolore”,
André Marlaux, La condizione umana.
Ricordo la lettura delle prime notizie sul web. Il crescente allarmismo legato alla diffusione sempre più capillare del Covid-19 in Italia. Io che apprendevo tutto ciò a Parigi, dove da poche settimane mi ero trasferito per motivi lavorativi. Ricordo l’aumento progressivo dei dati, l’attenzione tutta profusa verso la Lombardia dove le vittime aumentavano ogni giorno di più, le misure restrittive che pian piano stavano prendendo piede un po’ ovunque e che di lì a poco avrebbero colpito anche la Francia.
Non avevo mai vissuto nulla del genere. Dai libri di storia sapevo che in passato vi furono episodi simili, ma viverli dal vivo è tutt’altra cosa. Soprattutto quando non si hanno i propri affetti vicini e inizia a crescere, giorno per giorno, la preoccupazione per la loro salute. Nonostante questo, ho trovato le giuste motivazioni per andare avanti, lottando con i miei fantasmi per farli diradare il più possibile. Da allora, hanno iniziato ad entrarmi in mente termini come “distanziamento sociale”, “mascherina”, “guanti”, “autocertificazione”.

Parole che appartengono più a dei campi linguistici specifici (su tutti, quello sanitario) che al lessico quotidiano di ognuno di noi. Eppure, ora che mi trovo in Italia, sono ormai entrate nei discorsi anche più elementari sottolineando una metamorfosi che non sarà solo sociale o sanitaria, ma anche lessicale. E se il linguaggio cambia, allora si trasforma anche il nostro modo di essere con gli altri e nel mondo.
In ascolto
In questo silenzio assordante di pensieri, ho colto, nei pochi visi incontrati a distanza per strada, paura, fragilità individuale, tensione. Un surplus di emozioni che mi ha fatto riflettere sulla capacità di un evento di mettere a nudo la pochezza di molti rapporti umani, facendo emergere, per altri, la robustezza delle loro radici.
Un tale contesto mi ha portato a mettermi in gioco, a farmi riflettere sul mio vissuto e a volerne pianificare uno migliore, per quanto possibile. Le catastrofi possono abbattere ma sono capaci di dare anche una forza misteriosa a cui attingere per diventare qualcosa di nuovo, se solo si ha l’umiltà di ascoltarsi dentro con onestà, ammettendo prima di tutto i propri fallimenti.

Ho attraversato le pareti sottili della mia anima, cercando una via d’uscita ai miei errori. Ho voluto che tutto questo accadesse prestando attenzione a ciò che mi succedeva intorno. Alle decisioni politiche, a quello che può conservarsi di umano quando anche le libertà individuali e sociali più elementari sembrano dissolversi.
“Io sono della grandezza di quel che vedo…” (Fernando Pessoa)
Cosa mi è rimasto? Un profondo senso di amarezza nei confronti di una realtà che sembra aver perso ogni tipo di punto di riferimento. La politica non garantisce più alcuna visione del futuro, preferendo intervenire hic et nunc con palliativi che non risolvono la complessità dei problemi strutturali di una nazione, quando, al contrario, penso che una crisi del genere dovrebbe stimolare una riorganizzazione capillare di quello che fino a quel momento, nella stessa, non ha funzionato.
L’indebolimento di qualsiasi forma di riflessione intellettuale. Filosofica, spirituale, morale. Qualcosa che arricchisca l’anima di ciascuno di noi in momenti così difficili e che possa aiutarci a mantener dritta la voglia di sperare. Serve ripensare o riaffidarci a qualcosa che stimoli le nostre coscienze. E serve soprattutto serietà nel farlo.
Vorrei che questo caos ridia più forza alla cultura sfumata in ogni sua declinazione (arte, letteratura, filosofia, scienza, musica etc.). L’unica in grado di farci crescere cittadini più consapevoli e meno paurosi, l’unica che può davvero tirar fuori da noi stessi tutto il meglio, gettando le basi per curare chi amiamo con più passione e affetto, al di là dei nostri impegni quotidiani.
La vita arriva improvvisamente, non avverte, cattiva o buona che sia, e dobbiamo saper scegliere attentamente le persone che meritano la nostra comprensione. Riprendendoci la nostra capacità di agire e gestire responsabilmente l’identità che ci appartiene, ora più che mai dissolta nei confini fumosi di una globalizzazione senza freni. Con determinazione, spirito critico, slancio vitale. Senza subire passivamente quel che accade.
N.B.: le foto di quest’articolo sono state scattate prima della diffusione dell’epidemia di Covid-19.
© Riproduzione riservata The Bookmark.it