Articolo su i tre canti politici della Commedia. Dante profeta scomodo di un’Italia e un mondo in eterna ricerca di se stessi.
Tre canti, tre componimenti sul senso della politica. Dante si interroga, riflette con durezza, espone il suo punto di vista da uomo del suo tempo cosciente di star patendo in vita il destino di esule vittima egli stesso delle decisioni del potere. Tre canti aspri, pieni di una rabbia cosciente, che con lucidità e angoscia analizzano la situazione politica a lui coeva. Dante prima che un poeta, era un grande intellettuale che viveva in pieno la sua epoca, da protagonista. Per questo i canti politici della Commedia ci parlano di un Dante che è anche un profeta scomodo di un’Italia e un mondo in eterna ricerca di se stessi.
L’Italia partita
“Da giovane, pensavo come tanti, di dedicarmi alla politica
non appena fossi stato padrone di me stesso.” Platone, Epist. VII, 324c.
Nell’Inferno, il tema è Firenze. Un città divisa da lotte intestine asperrime, sempre contesa, mai del tutto pacificata. Nelle parole dell’enigmatico Ciacco, prevale l’ansia di chi profetizza un male da cui non si può fuggire perché già deciso e, per Dante, già avvenuto. Tre parole, pesanti come la roccia, dominano questi versi. Superbia, invidia e avarizia (v. 74), “le tre faville c’hanno i cuori accesi” (v. 75), che li pervadono rendendoli ciechi davanti alla possibilità di estinguere il loro conflitto. Siamo alla vigilia dell’esilio di Dante, cacciato dalla città a causa di giochi politici complessi che vedranno il prevalere dei Guelfi Neri sui Bianchi, con i quali si divisero il dominio della città che non rivedrà mai più.
Una disperazione che in Ciacco assume i contorni di un suono lacrimabil (v. 76), triste, doloroso come può essere un qualunque presagio nefasto e che Dante continua idealmente a sentire nel VI canto del Purgatorio. Un componimento che sferza, picchia, frusta l’Italia della sua (e nostra) epoca, servendosi di una lingua che, all’asprezza dettata dalla furia, unisce un forte senso di commiserazione, quasi non si potesse aspettare alcun miglioramento dal suo essere “nave senza nocchiere” (v. 77), “misera” nel constatare che in nessun suo territorio c’è pace. Né in senso spirituale né temporale. Un “giardin de lo ‘mperio” deserto (v. 105).
Giardino. Una parola dolce che parla di colori e bellezza, che racconta l’inizio di una possibile fioritura che ancora aspetta di sbocciare per essere qualcosa di grande, per diventare un impero. Quest’ultimo subisce un’attenta disamina nel Paradiso, nel cielo di Mercurio, dove sono presenti gli spiriti attivi per la gloria che fecero del bene per la fama. Qui Dante diventa l’imperatore Giustiniano, ripercorrendo la storia di Roma, affermando quanto le lotte fra Guelfi e Ghibellini (“faccian lor arte sott’altro segno, chè mal segue quello sempre chi la giustizia a lui diparte,”, vv. 103-105) non facciano bene alla realizzazione dell’impero.
Punti per ripartire
È qui che ci si chiede a cosa serva la politica. Quale sia davvero il suo fine e su quali princìpi debba basare il suo agire. Perché non può prevalere l’indifferenza. Non deve avere la meglio. I problemi devono essere affrontati con concretezza e senso di responsabilità, di professionalità. Quel Beruf che Max Weber analizzerà in un altro testo profetico che la letteratura e il pensiero ci hanno tramandato (La scienza come professione. La politica come professione, Einaudi, 2004). Beruf come lavoro interiore profondo, cosciente dei suoi limiti ma che veda nitido il raggiungimento del bene di se stessi e della comunità. Senza per questo alienarsi.
Considerazioni presenti anche ne Il lavoro dello spirito (Adelphi, 2020). Libro scritto da Massimo Cacciari in dialogo diretto con l’insegnamento weberiano e indiretto anche con Dante (e con i canti politici della Commedia), a cui il filosofo ha dedicato studi importanti. La divisione perenne della condizione sociale italiana (e non solo) dovuta alla superficialità e all’autorefenzialità della sua classe dirigente, rende indispensabile un profondo ripensamento del Politico, di quello spazio che non può essere basato solo su ragioni contrattualistiche, così come dettato dalle regole del capitalismo finanziario, ma vada oltre per diventare, insieme alla Scienza, motore del progresso, il centro propulsore dello sviluppo di una cittadinanza consapevole.
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