Articolo sui margini nascosti della scrittura. Note, taccuini, diari, appunti e agende nell’immaginario della nostra vita.
Sarà successo anche a voi. È un gesto che certe volte facciamo inconsapevolmente, in modo quasi automatico. Prediamo una penna o una matita, la portiamo alle dita, posiamo la loro punta su un foglio di carta e iniziamo a tracciare un segno, qualsiasi tipo di parola che ci venga in mente in quell’istante, dando prova di avere ben solide le regole che vivono impercettibili, dentro di noi, sui margini nascosti della scrittura. In quel momento, le note, i taccuini, gli appunti, i diari e le agende nell’immaginario della nostra vita iniziano davvero a prendere forma.
Personalmente penso non ci sia un gesto creatore così semplice e complesso. Bastano poche attenzioni, una concentrazione minima, un luogo qualsiasi per far nascere un pensiero, una parola che si trasformi in ciò che, in quel preciso attimo, abbiamo a mente. Può essere la lista della spesa, l’elenco degli impegni da fare, i nomi di persone che ci sono care. Tutto sta lì, in quei piccoli oggetti che sono i taccuini, la cui struttura assume impostazioni diverse a seconda del nostro gusto estetico.
È il potere nascosto nelle parole. Nascono spontaneamente per poi tornare, dalla carta, dentro la nostra mente e ricominciare ad essere rielaborate con le esperienze personali. A questo processo dà una grossa mano la scrittura, la leva che ci permette di descrivere ciò che pensiamo con i suoi segni grafici che fin da piccoli ci insegnano ad imparare. Perché sono così importanti? Mi chiedevo all’epoca. Ancora adesso non ho una risposta, ma magari non voglio nemmeno averla.
Le mie agende, i miei diari, sono sempre stati molto sobri. In genere piccoli, qualche volta leggermente più grandi. Mi piacciono quelli monocolori, con pochissimi disegni o immagini, mantenendomi fedele, più o meno, sempre alle stesse tonalità: blu, beige, marrone scuro, nero, grigio. Lo so, non sono colori “allegri” ma rispecchiano ciò che sono. Immagino, infatti, che anche voi abbiate, in tal senso, la vostra personale classifica. Riflette un po’ l’infanzia quando, prima dell’inizio di un anno scolastico, sceglievamo con cura gli oggetti di cancelleria che ci avrebbero accompagnati fino al suo termine.
Sono gesti piccoli, all’apparenza insignificanti. Gesti figli del nostro modo di essere più intimo, che a volte non conosciamo nemmeno. Della stessa natura è l’annotare. Il mio non ha argomenti prediletti su cui soffermarsi; scrivo ciò che capita e lo faccio meravigliandomi ogni volta di come sia dannatamente facile. Pensateci: facciamo cose complicatissime, usiamo apparecchiature con libretti di istruzioni contorti come le regole della fisica quantistica, e ritorniamo sempre lì, su quel pezzo di carta che ci sta davanti.
Evidentemente abbiamo necessità di ritrovare un equilibrio, un’armonia rispetto a quello che ci succede per dare ad esso un ordine. Ognuno di noi avrà la sua personale definizione per quello che ho raccontato ed è proprio questo il bello: la parola esprime l’identità di ciò che siamo, anche quando si materializza sotto forma di conti da far quadrare per non arrivare alla fine del mese con le tasche bucate. È in questo modo che lasciamo traccia nel mondo.
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