Rileggere è riscoprirsi nuovi. L’arte della lettura al servizio della nostra crescita personale ed individuale.
È come incontrare dopo tanto tempo un vecchio amico di cui si erano perse le tracce. Al primo sguardo, lo si ritrova cambiato fisicamente. Il colore bianco dei capelli, qualche ruga in più, i segni degli anni che si stratificano sulla sua pelle… A prima vista, l’impatto è forte; poi, quando inizi di nuovo a parlarci, capisci quanto tutto sia relativo per ritrovarvi di nuovo a ridere sulle stesse battute o a riflettere su ciò che eravate in quel periodo remoto della vostra infanzia, dove ogni cosa sembrava semplice e appagante. Rileggere è riscoprirsi nuovi, senza mai smettere di perdere la propria identità. In fondo, l’arte della lettura si pone al servizio della nostra crescita personale ed individuale.
Molti non amano riprendere in mano un libro che, magari, avevano letto tempo addietro. Lo trovano un esercizio inutile, preferendo buttarsi su qualcosa di nuovo che abbia la capacità di portare sempre più avanti il nostro immaginario. Sia chiaro, non condanno assolutamente questo atteggiamento, ognuno di noi deve trovare la sua via alla lettura, quel modo di farla propria che permette di rendere questo processo unico e inimitabile, solo nostro. Il rileggere ha però un altro potere, a mio avviso anche più forte, più incisivo, più corroborante.
Amo riprendere un libro che avevo letto in passato. In particolare, adoro ritrovarmi nelle pagine di quegli scrittori che hanno segnato profondamente la mia fantasia e il mio stare al mondo. Senza di loro non sarei l’uomo di oggi, senza i loro libri, mi sentirei probabilmente più insicuro e perso nelle infinite grinfie del mondo esterno. E non si tratta solo di prosa, mi riferisco anche alla poesia. Prendere in mano la Commedia dantesca, ad esempio, buttarmi a capofitto in un verso che mi fa battere il cuore. Capire le ragioni che hanno portato l’autore ad usare una parola rispetto ad un’altra. Sono tutti gesti che riescono ad immergermi nella magia della letteratura.
Rileggere è scavare nel significato della parola. Coglierne i contorni meno appariscenti per farne sedimentare i tratti linguistici più profondi nella vita di tutti i giorni. Non posso fare a meno di ritrovarmi nelle riflessioni di Claudio Magris, nel lento e tagliente scorticare linguistico di Beppe Fenoglio, nella lucidità dei saggi di Emilio Gentile che danno alla storia che ci circonda uno sguardo pregno della sua complessità. La parola assume un ruolo speciale, diventa un carattere psicologico di ciò che siamo, fino a condizionarci i comportamenti. La rilettura ha anche questo potere.
Nel silenzio del pensiero che legge e rilegge, a volte ci diciamo:”Sì, questo sono io”, “Ha perfettamente ragione”, “Sta parlando proprio di me”. Scatta un meccanismo originale che ci consente di riflettere su quanto possiamo migliorare come uomini e donne. Rileggere ci educa alla vita, dandoci delle direttive che inconsciamente mettiamo in pratica giorno dopo giorno. Pensate quanto sia totalizzante un gesto, all’apparenza, così semplice, quasi insignificante e superfluo. Così, riprendendo in mano la rugosità sensuale di un libro, penso a quanto non possa fare a meno di esso come l’aria che respiro.
Da queste premesse nasce il concetto di classico. Di quell’opera (letteraria, artistica ma anche scientifica) che rimarrà sempre un punto di riferimento nonostante tutto. L’a-storicità che la contraddistingue, le permette di ergersi a monumento della memoria condivisa che da particolare si fa universale. Le nostre vite acquisiscono senso in questo momento di passaggio divenendo eterne a loro modo. E solo i libri ci permettono di lasciare una traccia concreta di quel che siamo, seppur piccola e impercettibile. Ecco perché rileggere è riscoprirsi sempre nuovi.
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