Tra bullismo, sessualità e comunicazione
L’autrice giapponese Yamashita Hiroka si racconta al pubblico italiano parlando del suo romanzo “Doll”
Intervista a Yamashita Hiroka e traduzione dal giapponese a cura di Claudia Zancan
Yamashita Hiroka nasce a Tokyo nel 1994. Nel 2015 termina il suo romanzo “Doll” con cui vince la cinquantaduesima edizione del premio letterario per scrittori emergenti Bungeishō, assegnato annualmente dalla rivista letteraria Bungei. Come prassi tra gli scrittori emergenti giapponesi, segue la pubblicazione del romanzo sulla rivista per poi essere pubblicato dalla casa editrice Kawade Shobō Shinsha.
Il romanzo è stato particolarmente apprezzato dalla giuria per la capacità di Yamashita Hiroka di dipingere un quadro estremamente realistico delle emozioni del protagonista. L’adolescenza e i suoi problemi sono qui descritti attraverso un’attenta analisi psicologica di Yoshizawa. Yamashita Hiroka racconta con un linguaggio schietto e immagini molto realistiche il senso di alienazione che pervade Yoshizawa, la mancanza di comunicazione tra lui, la sua famiglia e i suoi compagni di classe, e il grande problema dell’ ijime, il bullismo. Una storia, quella dell’ “amore” tra Yoshizawa e la sua bambola gonfiabile Yurika, che di base potrebbe essere difficile da accettare, ma che deve essere letta come una forma di ricerca di affetto e punti fermi nella vita di un ragazzo che si sente estremamente solo.
In Italia “Doll” di Yamashita Hiroka è tradotto da Valentina Franchi ed è pubblicato da Atmosphere libri nella collana AsiaSphere.
Intervista a Yamashita Hiroka
Grazie innanzitutto per questa intervista. Iniziamo parlando del protagonista di “Doll”, Yoshizawa. Nel romanzo l’assenza del padre di Yoshizawa è chiaramente espressa. Pensa che il problema della relazione padre-figlio abbia influito sul processo di crescita del ragazzo?
Nel concepire la trama di “Doll” avevo deciso che il protagonista sarebbe dovuto crescere in un ambiente senza la figura paterna e in un contesto non agiato a livello economico. Io stessa sono cresciuta senza la presenza di mio padre. E ho pensato che sarebbe stato più semplice riflettere queste mie emozioni su carta. L’ambiente in cui si cresce durante l’infanzia, influisce molto sulla vita e sul carattere di chi diventiamo da adulti. Tuttavia, se paragoniamo una famiglia completa, con entrambi i genitori, con una famiglia in cui manca una figura come quella paterna, si potrebbe percepire un senso di difficoltà e di solitudine. Ma non credo che possa avere necessariamente un’influenza negativa sulla crescita.
Cosa ne pensa delle difficoltà comunicative nelle nuove generazioni e come le si potrebbero superare?
La capacità d’immaginazione è per me molto importante, non solo quando leggo o quando scrivo, ma anche quando comunico con gli altri. Infatti ritengo che la fantasia sia l’aspetto più importante nella comunicazione, sia nell’ambiente in cui si vive sia nel modo di pensare. Un bambino cresciuto in una famiglia con un padre non può cogliere del tutto i sentimenti di un bambino cresciuto in una famiglia senza questa figura. Una persona che non è mai stata vittima di bullismo non potrà mai comprendere i sentimenti di una persona che lo ha subito, come il protagonista di “Doll”.
Il vero significato del dolore e della solitudine, lo possono capire solo le persone coinvolte. Eppure, penso sia necessario, sia per i giovani che per gli adulti, cercare un modo di avvicinamento reciproco nel tentativo di comprendersi l’uno con l’altro. Tuttavia, quando si cerca di comprendere la vita di persone totalmente diverse da noi, c’è un limite effettivo e in quei casi è fondamentale la capacità di immaginazione, la nostra fantasia. Personalmente penso che la lettura mi abbia aiutato molto a sviluppare questa abilità.
Pensa che l’uso dei social media abbia aumentato le difficoltà relazionali e comunicative tra i giovani?
Al giorno d’oggi si comunica sempre di più attraverso i social media come Line e Twitter, e ho sentito che spesso le chat tra studenti si straformano in veri e propri atti di bullismo. Non vedendo né il viso né l’espressione delle persone con cui si chatta, è facile dire ciò che non si riuscirebbe dire dal vivo, e capita che in questo modo si possa ferire gli altri. Anche io, come autrice, chatto sui social, ma cerco di compensare le parti invisibili, come il viso delle persone con cui comunico, con la mia immaginazione. Mi sforzo di essere sempre sincera e onesta, nei limiti del possibile, quando scrivo sui social.
Certo, nei social si tende ad essere sempre cordiali, ma capita che vengano inviati anche commenti accusatori, scagliate parole con cattiveria, e trasmessi sentimenti negativi. La violenza delle parole può essere davvero straziante. Nonostante ciò, ci sono dei momenti in cui mi sento in colpa per quello che ho scritto nel romanzo, per le parole che usato. C’è la possibilità che alcune mie parole possano aver ferito qualcuno. Ad esempio, quando un lettore mi dice che ha percepito fastidio nel leggere il libro, provo due sentimenti contrastanti. Da una parte ho il desiderio di criticarlo, in quanto se ho scritto alcune parti era perché necessarie ai fini della trama, ma allo stesso tempo mi sento in colpa se qualche lettore è stato ferito dal mio romanzo.
In effetti, un certo numero di lettori giapponesi non ha apprezzato e ha provato un senso di disgusto su come siano stati descritti il bullismo e il sesso in “Doll”. Probabilmente quello dello scrittore è un mestiere in cui si dovrà sempre affrontare il senso di colpa. Ovviamente la scelta di utilizzare certe parole e certe descrizione che io autore ritengo necessarie, potrebbe ferire e infastidire i lettori.
Ritiene quindi che l’uso dei social media abbia un impatto negativo?
Penso che i social media possano avere un’influenza sia positiva che negativa. Come detto in precedenza, dalla mia esperienza, dall’anno scorso ho aperto un mio profilo social come scrittrice. Se da una parte vengo incoraggiata dalla gioia di poter legare con diversi lettori e dai loro messaggi pieni di affetto, d’altro canto succede che vengo ferita dalle parole di persone che inviano commenti poco carini. A volte capita che alcune parole possano attirare antipatia. Ma, dall’uscita di “Doll”, sono riuscita, attraverso Instagram, a sentire il parere di tanti lettori italiani e questo mi ha reso davvero felice. In questo modo, siamo anche riuscite a realizzare questa intervista per il blog e ne sono davvero grata.
Mi auguro che “Doll” possa arrivare ad un pubblico di lettori italiani sempre più ampio. Se non ci fossero stati i social non sarei mai riuscita a mettermi in contatto con persone da tutto il mondo. Se da una parte si è ampliato il mio mondo, ho anche attirato la cattiveria di persone inaspettate. Penso che ci siano davvero sia aspetti negativi che positivi.

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Il tema della sessualità è centrale in “Doll”. L’Italia è il fulcro del mondo Cattolico, il rapporto d’amore e la scoperta della sessualità tra Yoshizawa e la sua bambola gonfiabile Yurika potrebbe non venire del tutto compreso. La sessualità e la scoperta del sesso sono da noi ancora argomenti tabù. Come vivono la sessualità i giovani giapponesi?
Il Giappone è ancora indietro per quanto riguarda l’educazione sessuale. Quando ero studentessa ho avuto l’impressione che venissero trattati in maniera molto approssimativa solo gli organi sessuali e il concepimento e che non si facessero domande sulla sessualità. Eppure in Giappone è un argomento che si potrebbe affrontare grazie alle lezioni di educazione sanitaria che si tengono regolarmente a scuola. Parlare di sesso è considerato un tabù. Sono molto rare le occasioni in cui si può parlare e comprendere il sesso e succede spesso che tanti diventano adulti avendo una concezione sbagliata anche sugli anticoncezionali.
Malgrado la curiosità dei giovani per il sesso, non c’è lo stesso interesse per il rischio che comportano i rapporti sessuali. Purtroppo a causa della situazione attuale del Covid, si sta affrontando il grave problema sociale delle gravidanze tra le studentesse delle medie e delle superiori. Al momento in Giappone, però, non si può acquistare la pillola del giorno dopo a meno che non si vada direttamente in ospedale. E anche se la si riuscisse ad acquistare, è molto costosa. Inoltre per i minorenni andare in ospedale ha di per sé diversi ostacoli. Attualmente si sta cercando di migliorare il sistema e acquistare la pillola del giorno dopo in farmacia, ma se da una parte questo abbasserebbe gli ostacoli nell’acquistarla, sembrano esserci anche diverse preoccupazioni.
Ho sentito da un conoscente che si sono aperti dei corsi sulla sessualità rivolti alle studentesse delle medie e del liceo tenuti da scrittrici di letteratura erotica. Essendo una problematica delicata, questo è un modo per essere più persuasivi rispetto all’ imparare dagli adulti vicini come i genitori e gli insegnanti. Penso sia anche per i giovani più facile da ascoltare. A mio parere i problemi riguardanti l’educazione sessuale in Giappone potrebbero emergere maggiormente rispetto all’educazione sessuale nel resto del mondo.
Un altro tema importante in “Doll” è il bullismo. Secondo Lei quali sono le cause della diffusione del bullismo in Giappone?
In “Doll” viene trattato il problema del bullismo, ma non era mia intenzione che diventasse il fulcro della trama. In verità penso che il problema del bullismo non sia relegato solo ai confini giapponesi, ma sia un problema mondiale. L’interpretazione del bullismo è diversa da persona a persona, ma esiste anche un bullismo nascosto non solo tra gli studenti, ma anche nel mondo degli adulti. E’ nascosto in quanto non si è sviluppato in suicidio o altri tipi di incidente. E penso che in questo preciso momento nel mondo ci sia qualcuno che soffra e sia preoccupato perché non può parlare con nessuno di questi atti di bullismo.
Quale messaggio vorrebbe che “Doll” lasciasse nei lettori?
Nel momento in cui il romanzo si allontana dalle mani dell’autore può essere letto in qualsiasi modo. Tuttavia, “Doll” è un romanzo che tende ad affrontare tematiche come il bullismo e la sessualità, ma in realtà è molto puro e mi renderebbe felice se venisse considerato e letto come un romanzo che ha alla base una parte in cui viene espressa la purezza e l’innocenza di noi esseri umani. Il finale di “Doll” è molto triste, ma se venisse letto percependolo come una storia d’amore, quella in cui il protagonista ha amato qualcuno – anche se una bambola- , potrebbe regalare una sensazione diversa a fine lettura.

Il Corona virus ha sconvolto la vita di tutti noi cambiando molte nostre abitudini e certezze. Pensa che l’esperienza del Covid potrà influenzare i suoi prossimi lavori?
Se parliamo del romanzo a cui sto lavorando adesso, sicuramente riflette la situazione sociale attuale e perciò descriverà inevitabilmente anche la situazione del Covid. Ma la mia opera precedente -“Eror”- é una storia basata su una “food fighter” perciò la descrizione della vita quotidiana stonava con il contesto, e l’ho evitata. Non penso di inserirlo se sarà un elemento fuori luogo nel contesto della trama, se invece sarà inevitabile la sua presenza, lo terrò.
E’ mai stata in Italia? Ha mai letto qualcosa di letteratura italiana?
Non sono mai stata in Italia. Appena la situazione del Covid si sarà normalizzata, vorrei assolutamente visitarla. Non ho letto molto di letteratura italiana, ma mi piacerebbe leggere qualcosa come la “Divina Commedia” di Dante.
Quale autore giapponese vorrebbe consigliare ai lettori italiani?
Non riesco a snominarli tutti perché ce ne sarebbero tanti. Tra le mie opere preferite consiglierei senza dubbio “La ruota dentata” di Ryunosuke Akutagawa, “La casa delle belle addormentate” e “Il braccio” di Yasunari Kawabata, “L’amore di uno sciocco” di Junichiro Tanizaki, “Occhi nella notte” di Eimi Yamada, “Jū” di Fuminori Nakamura,”Kamisama no bōto “di Kaori Ekuni, “Kami no tsuki” di Mitsuyo Kakuta e “Kaka” di Rin Usami.
Ringrazio di cuore la scrittrice Yamashita Hiroka e la casa editrice Kawade per avermi dato la possibilità di realizzare questa intervista!
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