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Quasimodo: tre poesie d’amore

Quasimodo: tre poesie d’amore. L’essenzialità della lingua che si fa memoria di un tempo che ritorna in ogni nostra azione quotidiana.

La poesia riporta alla luce gli elementi nascosti della nostra coscienza, quelli che teniamo repressi in chissà quale luogo oscuro della nostra anima. Ogni volta che leggiamo dei versi è come se ci confrontassimo con l’essenza stessa del nostro carattere, con le sue storture, le sue incertezze, il suo destino ancora da compiere ma già, in qualche modo, presente dentro di noi. La poesia fa emergere i significati autentici della nostra vita. Quasimodo ne è un esempio, per questo ho deciso di scegliere tre poesie d’amore che, a mio parere, lo rappresentano meglio e mi rappresentano. Quasimodo esprime l’essenzialità della lingua, quella che si fa memoria di un tempo che ritorna in ogni nostra azione quotidiana.

FORSE IL CUORE

Sprofonderà l’odore acre dei tigli
nella notte di pioggia. Sarà vano
il tempo della gioia, la sua furia,
…quel suo morso di fulmine che schianta.
Rimane appena aperta l’indolenza,
il ricordo d’un gesto, d’una sillaba,
ma come d’un volo lento d’uccelli
fra vapori di nebbia. E ancora attendi,
non so che cosa, mia sperduta: forse
un’ora che decida, che richiami
il principio o la fine: uguale sorte,
ormai. Qui nero il fumo degli incendi
secca ancora la gola. Se lo puoi,
dimentica quel sapore di zolfo
e la paura. Le parole ci stancano,
risalgono da un’acqua lapidata;
forse il cuore ci resta, forse il cuore…

Tratta dalla raccolta Giorno dopo giorno (1947), si tratta di un poesia che scava dentro una parola preesistente allo stesso linguaggio. Una parola che ci appartiene senza sapere che consapevolmente fa parte di noi. “Le parole ci stancano. Risalgono da un’acqua lapidata [..]”, una sorgente che appartiene allo scorrere di un tempo senza storia, dove i sentimenti si nutrono di silenzio e l’amore che va conservato non ha nulla di romantico. E’ un sentimento che per Quasimodo è essenziale, ridotto all’osso, alla sua verità.

Le parole non servono più. Solo un silenzio primordiale, in cui confrontarsi riflettendo i nostri sguardi perduti su un amore che probabilmente sta finendo, non ha più nulla da offrire agli amanti se non il suo probabile alimentarsi attraverso il battito del cuore, su cui non c’è alcuna certezza al di là del suo essere sfuggente.

LA TERRA IMPAREGGIABILE

Da tempo ti devo parole d’amore:
o sono forse quelle che ogni giorno
sfuggono rapide appena percosse
e la memoria le teme, che muta
i segni inevitabili in dialogo
nemico a picco con l’anima. Forse
il tonfo nella mente non fa udire
le mie parole d’amore o la paura
dell’eco arbitraria che sfoca
l’immagine più debole d’un suono
affettuoso: o toccano l’invisibile
ironia, la sua natura di scure
o la mia vita già accerchiata, amore.
O forse è il colore che le abbaglia
se urtano con la luce
del tempo che verrà a te quando il mio
non potrà più chiamare amore oscuro
amore già piangendo
la bellezza, la rottura impetuosa
con la terra impareggiabile, amore.

Nella poesia La terra impareggiabile appartenente all’omonima raccolta del 1958, il risentimento per non aver manifestato in pieno questo sentimento si fa più forte. Il poeta cerca di capire le ragioni di un processo di rimozione in cui la memoria sembra quasi temere la forza ingovernabile dell’amore, che non riesce ad esprimersi come dovrebbe, che l’uomo-Quasimodo non è riuscito a manifestare come avrebbe dovuto.

L’anima appare come tramortita da questa impossibilità di vivere autenticamente l’amore, di dargli il giusto peso anche tramite l’uso delle parole, del linguaggio che va pian piano spegnendosi nell’incapacità di dire ciò che si prova per l’altro rendendolo unico al mondo. Manca qualcosa, Quasimodo avverte di essere in difetto.

A ME PARE UGUALE AGLI DEI

A me pare uguale agli dei
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.

Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.

L’ultima poesia che voglio affrontare non è di Quasimodo ma una sua traduzione di un celebre frammento di Saffo. Credo, infatti, che anche nel tradurre, uno scrittore riesca a donare parte del suo immaginario e del suo talento, facendo emergere la sua personalità. Si tratta di un poesia che rivela quanto l’amore più intenso, quello viscerale, comporti un tormento ingovernabile.

Quasimodo entra totalmente nella gelosia della poetessa scegliendo parole vere, autentiche, drammaticamente sincere. L’amore è così e solo la grande poesia può davvero esprimerlo.

Le poesie sono tratte dal volume Salvatore Quasimodo – “Tutte le poesie” (Mondadori, 2017)

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