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La scuola e le sue incognite

La scuola e le sue incognite. Un nuovo anno scolastico sta per iniziare ma ancora sono molti gli interrogativi legati alla sua ripartenza. Alcune riflessioni

La scuola sta per riaprire eppure avverto una strana sensazione. Ho come l’impressione che non si sia mai chiusa. Magari è colpa dei lunghi periodi in Dad che hanno costretto molti docenti (me per primo) a creare una nuova didattica, che in via del tutto eccezionale ha sostituito la presenza in classe portando il lavoro a casa in misura maggiore; oppure è colpa della precarietà dei supplenti che aspettano da anni concorsi che ancora stentano a ripartire e su cui, l’alternanza dei vari esecutivi, impone nuove direttive. Insomma, un nuovo anno scolastico sta per iniziare ma ancora molti sono gli interrogativi legati alla sua ripartenza.

Sicuramente, da giugno, ci sono stati alcuni cambiamenti. Le premesse affinché i ritmi scolastici ritornino alla graduale normalità pare si stiano pian piano definendo. Alla fine si ritornerà in presenza fin da settembre, rassicurati dalla campagna vaccinale e dall’uso del Green Pass e la Dad verrà usata solo in casi estremamente eccezionali. Tutto per iniziare in sicurezza e con nuovi stimoli, ritrovando la motivazioni necessarie per poter finalmente rimettere al centro la scuola e l’insegnamento.

Soprattutto, è indispensabile ridare nuova linfa al rapporto fra docenti e studenti. Un legame che la pandemia ha spezzato, impoverendolo drammaticamente. La classe non è solo il luogo in cui si gestisce una lezione con contenuti e verifiche. Ogni classe è un microcosmo sociale ed umano fondato sull’importanza del verbum, della parola come strumento ed opportunità di collegamento fra mondi solo in apparenza differenti. Le differenze si annullano con il dialogo che permette ad ognuno di noi di esprimere se stesso. Ed una delle funzioni principali della scuola è proprio questa.

Ridare la possibilità di manifestare un punto di vista sul mondo, confrontarsi con quello degli altri guardandosi negli occhi, fare della parola un’estensione del corpo e viceversa. Trasformare i temi di una lezione in qualcosa che appartenga davvero a chi sta ascoltando. Questo è uno degli obiettivi che bisogna riconsiderare per tornare davvero ad imparare. Eppure un sottofondo d’inquietudine potrà pervadere le buone intenzioni, renderle meno determinate e costringerle alla difensiva. Sì, perché ogni volta che la scuola ricomincia è come se le aspettative siano più grandi di quella che sarà la realtà dei fatti.

Edifici vecchi e malmessi, mancata stabilizzazione dei docenti precari e graduatorie infinite di persone che attendono da anni di poter finalmente pensare con serenità al loro futuro. La difficoltà nel ridare al proprio mestiere un significato che vada al di là dei test e dei compiti, fondamentali per vagliare la preparazione degli studenti. Un obiettivo che in una società come la nostra si stenta ad affermare, presa com’è da logiche estreme di mercato. In più, su tutto ciò si agita lo spettro malvagio del coronavirus che potrebbe riportare tutto alla situazione descritta in precedenza.

Come poter andare oltre queste lecite incognite? Nel loro piccolo, gli insegnanti non potranno fare altro che non perdersi d’animo, agire responsabilmente, portare i ragazzi (anche e soprattutto quelli problematici) ad essere coscienti delle loro capacità per affrontare la realtà con determinazione. Gli studenti a loro volta devono capire, comprehendere, questo processo e trasformare la loro presenza a scuola in un’opportunità di crescita. Ed infine, l’apparato burocratico e amministrativo lavorare per semplificare e facilitare tutto questo. Fra problemi vecchi e nuovi, a tutti loro va il mio miglior augurio.

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