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Il Duecento nella letteratura italiana. L’amore e le stelle

Il Duecento nella letteratura italiana. L’amore e le stelle. La lirica religiosa a confronto con la tradizione provenzale. Un incontro dello spirito e della parola nell’Italia medievale.

Le premesse per descrivere il mistero dei cieli e l’eleganza dell’amore ci sono tutte. Santi, poeti, martiri di una fede viscerale, sentita fin dentro le ossa, che non può non essere raccontata. Uomini di corte fedeli al loro lavoro, funzionari di uno Stato che coltivava la passione per la cultura, inaugurando scuole, cenacoli poetici in cui confrontarsi per cercare di riflettere sull’amore e su se stessi. Il Duecento è, nella letteratura italiana, un secolo che propone cambiamenti radicali rispetto al passato ma anche continuità ideologiche difficili da estirpare. Un vero e proprio incontro dello spirito e della parola nell’Italia medievale.

Un’introduzione

Prima dell’anno Mille, qualcosa stava cambiando radicalmente. Qualcosa che coinvolgeva gli individui e il loro esserci nella storia, dando origine a una nuova età, a un nuovo modo di esistere. Con la divisione fra pars Occidentis e pars Orientis giunta alla definitiva consacrazione con la morte dell’imperatore Teodosio I nel 395 d.C. (personalità che nel 380 aveva contribuito in maniera netta a far diventare il Cristianesimo, nella forma del credo niceno, religione di stato) inizia già a configurarsi una differenza profonda fra latinità e grecità, uno strappo che sarà ancora più forte nei secoli successivi, in quello che inizia a configurarsi come Medioevo.

A livello culturale tutto questo avrà delle conseguenze. Prima del Duecento, abbiamo ancora molto forte e tangibile il lascito della tradizione antica, soprattutto letteraria. Un patrimonio letto e studiato attraverso il filtro della fede cristiana che dava ai testi degli autori antichi un significato di stampo allegorico e simbolico, non filologico come accadde nei secoli più tardi grazie agli umanisti del Quattrocento. Testi che erano soggetti all’auctoritas dei libri sacri e a loro messaggio di cui si fecero latori soprattutto i monasteri con le loro biblioteche e il lavoro sapiente degli amanuensi sui codici.

Un senso della cultura aperto, libero, senza vincoli di proprietà intellettuale. Le opere antiche venivano tradotte, analizzate, riscritte, commentate, aggiornate, defraudate. Insomma un rapporto con la cultura letteraria senza confini in cui non si dava troppo peso alla contestualizzazione dei testi nelle epoche in cui furono effettivamente redatte, mettendo da parte ogni analisi scientifica della parola e dei suoi significati. Cultura cristiana che influenzava discipline come la storia, vista in un’ottica provvidenziale e la letteratura, pregna di significati morali e didattici.

Dopo l’anno Mille

La poesia cortese

Tutto inizia a cambiare dopo l’anno Mille. In questo periodo il latino è sempre più lingua ufficiale delle alte gerarchie ecclesiastiche e della loro burocrazia sebbene già in passato l’attenzione verso le parlate locali si stesse già manifestando. Basti pensare al Concilio di Tours che nel 839 autorizza l’utilizzo del volgare per le prediche o a documenti come il Giuramento di Strasburgo dell’842, fra Ludovico il Germanico e Carlo Il Calvo, redatto negli idiomi locali dei due sovrani. Iniziano così, pian piano, a svilupparsi le lingue romanze e i primi sublimi esempi di lirica in volgare.

Il baricentro della cultura letteraria passa dai monasteri alle corti dei grandi signori feudali, dove germina un nuovo linguaggio poetico espressione di valori come l’eleganza e la nobiltà che insieme alla liberalità e alla cortesia crea le premesse per lo sviluppo, in Francia, di due letterature simili e diverse al tempo stesso l’una dall’altra: quella in lingua d’oil, caratterizzata dallo sviluppo dell’epica cavalleresca e una produzione poetica contraddistinta da racconti in versi dal contenuto faunistico, amoroso, fiabesco (i lais e i fabliaux, ad esempio, in cui molto forte è il rapporto dell’uomo con la natura); e quella in lingua d’oc, dei poeti di tradizione trobadorica che avranno molta influenza sulla lirica del Duecento.

Fra XI e XII secolo si svilupperà la poesia provenzale, che ha come tema principale l’amore in un’ottica non carnale ma da interpretarsi come strumento di nobilitazione personale che porta al perfezionamento della propria moralità. È Andrea Cappellano il grande teorico dell’amore cortese. Intellettuale che deve molto alla lezione ovidiana e che parlerà dell’amore come una sorta di locus dello spirito in cui si debba porre la donna al di sopra dell’amante, riflettendo così i rapporti di subordinazione feudale tipici della sua epoca, a dimostrazione di come la storia entri con forza nella cultura.

La poesia religiosa

All’amore verso un soggetto ben preciso, si affianca quello verso Dio. Il Medioevo vive la fede nel profondo, anche a costo di compiere atrocità in suo nome e la letteratura ne assorbe ogni contraddizione e sublime espressione. La poesia religiosa si nutre di misticismo, tensione verso l’Assoluto che deve essere detto, testimoniato. Non darei una definizione sbagliata se intendessi la lirica religiosa del Duecento come poesia di ricerca, di sperimentazione di un linguaggio verso Dio, di cui la forma metrica più usata sarà la lauda, alla base della produzione di Jacopone da Todi. Il maggiore dei lirici religiosi di questo secolo.

Bernardo di Chiaravalle, Francesco D’Assisi, Bonaventura da Bagnoregio, tutti santi che dovevano esprimere l’amore per il Creato con la parola. Uomini che vivevano la loro religiosità come una vera e propria missione di redenzione dal peccato e dalle miserie di una società che non faceva fatica a tacciare come eretici chi abbracciava il credo evangelico della carità e della povertà. Si sviluppa una poesia che usa spesso il volgare per avvicinare i fedeli al suo messaggio e una letteratura agiografica che ha come scopo la descrizione delle vite dei santi caratterizzata anche da elementi provenienti dalla tradizione orale e popolare. Basti pensare alla Legenda aurea di Jacopo da Verrazze, compilata a partire dal 1260.

Insomma, i prima passi di un Duecento letterario ricco di stimoli, degno preambolo alle esperienze letterarie successive.

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