Recensione de “La cicala dell’ottavo giorno” di Mitsuyo Kakuta pubblicato da Neri Pozza. Una storia sulle conseguenze delle nostre azioni, sulla fragilità e sulla forza di andare avanti
Non sapevo cosa aspettarmi da questo romanzo. Preso un po’ a caso incuriosita dal titolo, devo dire che è stato uno dei libri più belli letti quest’anno. “La cicala dell’ottavo giorno” di Mitsuyo Kakuta racconta una storia al limite dell’assurdo. Cosa si è pronti a fare quando il desiderio di maternità supera la logica e la lucidità? Questa è una storia che scava a fondo nell’animo umano in cui una singola azione cambierà per sempre la vita di tante persone.

Mitsuyo Kakuta – La cicala dell’ottavo giorno
Titolo originale: Yokame no semi
Editore: Neri Pozza
Genere: Narrativa moderna e contemporanea
Prima edizione: 2019
Prima edizione italiana: 2014
Formato: brossura
Pagine: 398 pp.,
Traduttore: Gianluca Coci
Prezzo: 18,00 euro
Acquista questo libro su:
Trama
Kiwako è un’attraente ragazza quando, alla fine degli anni Ottanta, viene assegnata dalla K, una grande industria di abbigliamento intimo, alle Pubbliche relazioni col compito di illustrare sul bollettino mensile dell’azienda i profili dei nuovi impiegati. Incaricata di descrivere Akiyama Takehiro, un impiegato di Nagano appena approdato alla sede centrale di Tokyo, Kiwako commette un errore grossolano. Pubblica, a corredo dell’articolo, una fotografia che non ritrae il nuovo arrivato, ma l’impiegato oggetto del pezzo successivo. Quando va a scusarsi con Takehiro, questi risponde scherzosamente: “Invitami a cena e sarai perdonata”. La cena si svolge, e si rivela fatidica. I due cedono senza ritegno alla passione e si legano in un rapporto che non risparmia a Kiwako umiliazioni e ferite.
Takehiro, infatti, è sposato con Etsuko, un’impiegata part-time presso la K di Nagano, e non esita a ricorrere a menzogne, sotterfugi e false promesse, innanzi tutto quella di abbandonare la moglie, pur di tenere legata a sé Kiwako. Dopo aver subito un aborto dalle conseguenze irreparabili e aver assistito, sgomenta, alla nascita della bambina di Takehiro ed Etsuko, Kiwako compie qualcosa di inimmaginabile, un crimine per il quale finisce ricercata dall’intero commissariato di polizia di Hino, a Tokyo. Penetra in casa di Takehiro ed Etsuko e rapisce Erina, la loro figlia di sei mesi. Con la bambina in braccio, una neonata che sorride dolcemente, Kiwako riesce a far perdere le proprie tracce…

Come si legge dalla trama, questa è la storia di una donna che, accecata dal dolore e dalla disperazione, compie un gesto folle: rapisce una bimba di pochi mesi per accudirla come se fosse sua. Certo, ciò che fa è assolutamente imperdonabile. Non si può strappare una bambina dalle braccia dei suoi genitori. Eppure, più entriamo nella vita di Kiwako e più si prova empatia per la protagonista. Una donna ferita nel profondo dall’amore e dalla fiducia che provava per il l’uomo che amava. Kiwako scappa da una parte all’altra del Giappone portando con sé la piccola Erina che lei chiamerà Kaoru. Tutta la prima parte del libro si svolge negli anni ’80 ed è dedicata a Kiwako, alla sua fuga e ai suoi pensieri. Si arriva a dimenticare che la piccola non sia realmente sua figlia. Kiwako la ama come se fosse sua, le regala tutto l’affetto e tutto ciò che le potrà insegnare. Viviamo con lei questa fiaba idilliaca fino le coste dell’isoletta di Shōdoshima, l’ultima meta della loro fuga.
La seconda parte del libro fa tornare il lettore alla triste realtà: rapimento di minore. Sono passati diversi anni e Kaoru è ormai una giovane donna, fortemente traumatizzata. Si sente un’estranea tra estranei. Essere stata riconsegnata alla sua vera famiglia, equivale per lei al suo vero rapimento. Dal giorno alla notte è stata strappata da una vita che amava, da una donna che ha sempre creduto essere sua madre. Dov’è il mare? Dove sono gli spazi aperti? Dov’è Kiwako? La sua vera madre la trascura e sembra soffrire nell’avere in casa una figlia che non sente più sua, il padre è un uomo freddo e indifferente. Kaoru proverà più volte a scappare da questa sua “vera” famiglia. Fino a quando una sera, una protagonista del suo passato busserà nel suo presente. E per la prima volta inizierà realmente a riflettere su cosa ha vissuto e provato.
“…la vita per quella cicala sarebbe stata molto triste, perché avrebbe visto tutte le altre morire, al settimo giorno. E io ero d’accordo con te, solo che adesso non ne sono più tanto convinta. Perché quella cicala dell’ottavo giorno avrebbe la possibilità di vedere cose che tutte le altre non hanno potuto vedere. Certo, forse alcune di quelle cose avrebbe preferito non vederle mai, ma altre, non così orribili, potranno darle almeno un po’ di gioia.”
“La cicala dell’ottavo giorno” mette così a nudo l’animo umano portandoci a riflettere come un gesto illegale sia, in questo caso, una vera e propria opportunità di felicità per la piccola Kaoru. Il dolore di Kiwako fa ribaltare le carte della logica: la rapinatrice diventa la buona, mentre la famiglia vittima diventa il cattivo. Sono tanti i temi toccati dall’autrice: maternità negata, violenza psicologica, traumi infantili che si ripercuotano quando si diventa adulti, le sette religiose. Vorrei proprio concentrarmi su quest’ultimo punto:
Il Giappone e le nuove nuove religioni
Una parte della trama de “La cicala dell’ottavo giorno” si svolge all’interno di un centro religioso chiamato “La casa degli angeli” che ha tutte le caratteristiche per rientrare in quelle che normalmente definiamo “setta”. Questo è un aspetto molto interessante perché ci racconta a livello sociale cosa stava succedendo negli anni ’80 a livello religioso: un boom della New Age, in giapponese chiamata Seishin Sekai 精神世界. A differenza del movimento New Age nato in America, il quale era in contrapposizione con la tradizione giudaico-cristiana, in Giappone si pone l’accento ai benefici terreni che si possono ottenere qui e in questa vita. L’attenzione di questi benefici terreni vengono visti come centrali nella pratica religiosa dell’arcipelago. Quindi gli elementi del Seishin Sekai (come amuleti, omamori, guarigione olistica) sono considerati come un semplice nuovo packaging di elementi già presenti nella tradizione nipponica.
Da questo contesto sono nate diverse scuole, sette e le nuove nuove religioni in cui venivano prese le tradizioni religiose classiche (come Cristianesimo, Buddhismo..) a cui venivano aggiunti elementi tipici della New Age (come profezie, connessione con gli spiriti etc), e avevano una figura centrale – tipo guru – al centro della scuola/setta. Tra i vari movimenti delle nuove nuove religioni probabilmente il più famoso è stato Aum Shinrikyō, tristemente conosciuto per l’attentato di Tokyo del 1995. Infatti a causa dell’attentato, cambiò la percezione pubblica su ciò che rappresentavano le religioni, da quel momento in poi viste in maniera negativa. Questo lo si ritrova anche ne “La cicala dell’ottavo giorno” quando i parenti delle donne ospiti a “La casa degli angeli” reclamano le loro figlie e si parla proprio della tensione venutasi a creare dopo l’attentato di Aum.
Dopo questa parentesi, vorrei fare le ultime considerazioni su questo romanzo. Spesso sento dire che la letteratura giapponese tende ad essere fredda, a mostrare poco le emozioni e i sentimenti dei protagonisti. “La cicala dell’ottavo giorno” è una lettura che mette bianco su nero tutte le sfaccettature più complesse dell’animo umano. E’ un romanzo in cui la fragilità del nostro essere viene messa a nudo. E una domanda, a fine romanzo, vi rimbomberà in testa: possiamo davvero condannare il gesto di Kiwako?
Consiglio “La cicala dell’ottavo giorno” ai lettori in cerca un romanzo giapponese diverso dal solito, a chi vuole vivere forti emozioni e a chi non ama giudicare
© Riproduzione riservata TheBookmark.it